di Antonio Del Gatto
Il possesso del titolo di laurea non conferisce il diritto al riconoscimento di qualifiche né di assegnazione a mansioni diverse da quelle conseguite nell'ambito del legittimo espletamento delle procedure di assunzione e di eventuale successiva assegnazione a qualifiche e mansioni superiori.
A stabilirlo è stata la Corte di cassazione, con la sentenza n. 9240 del 17 aprile 2013, dopo un ondivago iter giudiziario, che ha interessato una dipendente pubblica.
Infatti, in primo grado, il Tribunale aveva ritenuta fondata la pretesa della ricorrente, riconoscendole un risarcimento di circa 50mila euro, sul presupposto di aver subito un danno psicofisico per non essere stata assegnata a mansioni più consone al titolo accademico.
Di diverso avviso è stata la Corte d’Appello, che ha ribaltato la decisione di primo grado, affermando che «l'impiegata non poteva vantare alcun diritto in relazione al possesso della laurea».
Inevitabile l’approdo della vicenda in Cassazione che, con la suddetta sentenza, ha dato ragione alla Corte territoriale, stabilendo che «il possesso del titolo di laurea non conferisce il diritto al riconoscimento di qualifiche né di assegnazione a mansioni diverse da quelle conseguite nell'ambito del legittimo espletamento delle procedure di assunzione e di eventuale successiva assegnazione a qualifiche e mansioni superiori» e che «la qualifica accademica non può estendere il diritto all'inquadramento lavorativo al di là di quello contrattualmente previsto».
Gli Ermellini di piazza Cavour hanno, altresì, precisato che «la domanda della ricorrente non configura una responsabilità contrattuale ma extracontrattuale, perché l'inquadramento non viene contestato sulla base delle previsioni contrattuali, bensì alla luce della sola qualificazione accademica rispetto alla quale il contratto stesso si pone come fatto ingiusto, generativo di responsabilità»
Pertanto spettava alla dipendente provare la colpa dell’amministrazione.