di Antonio Del Gatto
Intervento deciso della Cassazione in materia di infortunio in itinere. D’ora in poi, sarà difficile, se non impossibile, che il lavoratore , infortunatosi durante il tragitto casa-lavoro o viceversa, possa ottenere un risarcimento dall’Inail nel caso abbia optato per il mezzo di trasporto proprio e non per quello pubblico, nonostante la sede di lavoro si trovi a meno di due chilometri dalla sua abitazione.
I giudici della Suprema Corte, con sentenza n. 6725 del 18 marzo 2013 (Pres. De Renzis, Rel. Tricomi), hanno stabilito che non ha diritto al risarcimento il lavoratore che percorre il breve tragitto casa-lavoro con il suo mezzo, anche se ha prodotto in giudizio il prospetto che attesta un orario dell'autobus inadeguato rispetto all’inizio dell’attività lavorativa.
Nello specifico, i giudici di piazza Cavour hanno respinto il ricorso di un lavoratore che abitava a due chilometri di distanza dalla sede. L'uomo aveva preso la sua moto ma, durante il tragitto, era stato investito da un automobilista, riportando gravi lesioni a una gamba.
Per questo aveva fatto istanza all'Inail per ottenere l'indennità ma senza successo. A questo punto ha avviato la causa contro l'Istituto ma i giudici di merito gli hanno dato torto.
Ora la Cassazione ha reso definitivo il verdetto respingendo anche il gravame depositato al Palazzaccio.
Nella sentenza si legge che, in tema di infortunio in itinere, “il limite della copertura assicurativa è costituito esclusivamente dal ‘rischio elettivo’, intendendosi per tale quello che, estraneo e non attinente alla attività lavorativa, sia dovuto ad una scelta arbitraria del lavoratore” che, seppure legittima, non assume uno spessore sociale tale da giustificare un intervento di carattere solidaristico a carico della collettività.