Con sentenza n. 38 del 27 gennaio 2017, il Tar Abruzzo – L’Aquila – ha definito un ricorso avente ad oggetto la legittimità o meno della composizione della commissione di un concorso ove, a carico del presidente della commissione stessa, sia stata emessa una sentenza penale di condanna, ancorché non definitiva.
I giudici del Tar Aquilano hanno accolto il ricorso, dando ragione ai ricorrenti, in quanto l’art. 35-bis comma 1, lettera a) del D.Lgs. n. 165/2001, intitolato "Prevenzione del fenomeno della corruzione nella formazione di commissioni e nelle assegnazioni agli uffici" ed inserito dall’art. 1, comma 46, della L. 6 novembre 2012, n. 190, al quale i bandi di concorso debbono conformarsi, nel prescrivere l’incompatibilità alla partecipazione a "commissioni per l’accesso o la selezione a pubblici impieghi" estende la disposizione a “coloro che sono stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per i reati previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale”.
“Il richiamato art. 35-bis - si legge nella predetta sentenza - configura invero una nuova fattispecie di incompatibilità intesa a prevenire il discredito altrimenti derivante alla P.A. dall’affidamento di incarichi a dipendenti che, a vario titolo, in passato, abbiano commesso (o siano sospettati di) infedeltà.
Quanto all’anticipazione degli effetti a seguito della sola condanna non definitiva, ritiene il Collegio che la stessa sia giustificata alla luce del bilanciamento tra le immediate esigenze di tutela (formale e sostanziale) della funzione amministrativa, di chiara evidenza, e il sacrificio (limitato) imposto agli interessati.
Né rileva che la condanna (non definitiva) sia sospesa, giacché l’incompatibilità trova il proprio spazio applicativo privilegiato proprio nel caso di inefficacia delle sanzioni penali, anche accessorie”.