Il Tar Toscana, con una interessante sentenza (n. 459 del 27 marzo 2017), si occupa di un tema sempre caldo: la monetizzazione delle ferie non godute.
La decisione dei Giudici amministrativi richiama l’orientamento giurisprudenziale secondo cui un’interpretazione ed applicazione assoluta e incondizionata del pur fondamentale principio di non monetizzabilità delle ferie non sarebbe conforme ai principi costituzionali, in particolare a quelli che riconoscono al lavoratore il diritto alle ferie e ad ammalarsi (artt. 36 e 38 Cost.). Per questo - scrive il Tribunale - si devono distinguere le ipotesi assoggettate all’ambito di operatività del divieto di conversione in denaro da quelle in cui questo non opera.
Il divieto è sempre valido quando alla mancata fruizione delle ferie concorre attivamente il dipendente con atti (dimissioni dal servizio) oppure con comportamenti incompatibili con la permanenza del rapporto (pensionamento, cui sono stati aggiunti, per analogia, il licenziamento disciplinare e il mancato superamento del periodo di prova).
Non è valido, invece, quando le cause sono del tutto estranee alla volontà del dipendente e alla capacità organizzativa del datore di lavoro, come in caso di decesso, dispensa per inidoneità permanente e assoluta, malattia, aspettativa e gravidanza; qualificate, le prime due, come situazioni in cui il rapporto di lavoro si conclude in modo anomalo e, le altre, come casi in cui il dipendente non ha potuto fruire delle ferie proprio a causa dell’assenza dal servizio nel periodo antecedente la cessazione del rapporto di lavoro.
Per il Tar, appare pertanto corretto ritenere – sulla scorta della giurisprudenza – che possa essere monetizzato il periodo di ferie di cui il dipendente non ha potuto fruire per il protrarsi della malattia (ovvero anche per eccezionali, improcrastinabili esigenze di servizio) e non ha potuto recuperare per effetto della successiva intervenuta cessazione del rapporto di lavoro.