Con ordinanza n. 25191 del 24 luglio 2023, la Corte di cassazione ha respinto il ricorso proposto da un’azienda di trasporto pubblico locale avverso la sentenza della Corte d’appello di Messina n. 43/2018, che aveva riconosciuto il diritto del lavoratore al risarcimento del danno differenziale da patologia professionale, pari ad euro 148.759, da cui detrarre l’importo indennizzabile dall’Inail.
Al contempo, la Cassazione ha accolto, con rinvio, il controricorso proposto dal lavoratore, limitatamente al secondo dei tre motivi addotti, e segnatamente del secondo, volto a ottenere dall’azienda datrice di lavoro anche il risarcimento del danno morale, non riconosciuto dalla Corte territoriale con motivazione non ritenuta congrua dalla medesima Cassazione.
“Come è noto – si legge nella sentenza in rassegna – il danno morale all’interno della categoria unitaria del danno non patrimoniale dà rilievo ai pregiudizi del danno alla persona che attengono alla dignità e al dolore soggettivo ovvero a quei pregiudizi interiori rilevanti sotto il profilo del dolore, della vergogna, della disistima di sé, della paura, della disperazione, che sono differenti e autonomamente apprezzabili sul piano risarcitorio rispetto agli effetti dell’illecito incidenti sul piano dinamico-relazionale (che si dipanano cioè nell’ambito delle relazioni di vita esterne – cfr. sez. 3, Ordinanza n. 23469 del 28/09/2018)”.
Per i Giudici della Suprema Corte, appare difficile negare che la patologia – con accertato nesso di causa tra attività lavorativa e evento lesivo subito - non abbia provocato al lavoratore sofferenze, paure e turbamento dal punto di vista morale, atteso che è stato sottoposto a tre interventi di by pass aorto-coronarico, con successiva dichiarazione di inidoneità a svolgere qualsiasi altra attività lavorativa.
Pertanto, di fronte a compromissioni, oltre che dal punto di vista biologico anche dal punto di vista morale, la Corte di appello, prima di negare al lavoratore il risarcimento del danno morale, avrebbe dovuto prendere in debita considerazione anche tali aspetti della vicenda.
In conclusione, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso principale proposto dall’azienda datrice di lavoro; ha rigettato il primo e il terzo motivo del controricorso, accogliendo, invece, il secondo motivo, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Messina, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di Cassazione.
Rocco Tritto