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Venerdì, 26 Apr 2024

Quanto costano i moderni metodi dell’agricoltura industriale alla collettività? A questa domanda ha cercato di dare una risposta un gruppo di ricercatori dell’Università di Augsberg in Germania. Ad avere il maggior impatto ambientale è l’azoto presente nei concimi e nei fertilizzanti impiegati nei campi.

«L’uso e abuso di fertilizzanti e concimi a base di azoto per potenziare le rese provoca un eccesso di sostanze azotate nei terreni. – dichiara Tobias Gaugler, che aggiunge – Un problema per la salute dell’uomo e dell’ambiente».

Sostanze azotate che troviamo in quantità assai minore nei terreni coltivati con metodi biologici.

Lo studio prova che l’agricoltura convenzionale sfrutta più risorse e, perciò, può sembrare più economica. In realtà, se venissero inclusi nel prezzo i costi ambientali per bonificare e rivitalizzare il terreno che questo tipo di agricoltura genera, tra i quali, ad esempio, quelli necessari a filtrare e depurare l’acqua potabile dai residui di azoto – costi che paga la collettività - i prezzi dei prodotti sarebbero più alti di almeno il 10%.

Ma non basta, vi sarebbero poi da considerare l’inquinamento dell’aria, il degrado del suolo e, soprattutto, l’impatto degli antibiotici usati negli allevamenti intensivi.

Dopo questa ricerca, la popolazione in Germania ha iniziato a mobilitarsi per chiedere al Governo di far emergere questi costi nascosti e inserirli nel prezzo finale del prodotto.

Per Gaugler, presto si arriverà all’attuazione del principio “chi inquina paga”. Un principio che andrebbe applicato anche a tutti quei consumatori che sprecano, gettandolo, il cibo che, nella sola Germania, è di 7 milioni di tonnellate l’anno.

Ma, a quanto pare, il problema non solo non se lo pongono i singoli governi ma neppure l’Ue che -stando ad un articolo ampiamente documentato apparso su The Guardian - quanto agli antibiotici usati negli allevamenti, sta vagliando l’ipotesi di allargare le maglie della normativa vigente. Una storia che ricorda le vicende del glifosato.

E dire che, attualmente, si stima che, ogni anno, a causa della resistenza agli antibiotici muoiano oltre 700mila persone.

In mancanza di provvedimenti volti a limitare l’inquinamento farmaceutico da zootecnia, secondo gli esperti, entro il 2050 le vittime diventeranno 10 milioni.

Per la responsabile dell’Agenzia del farmaco del Regno Unito, Sally Davis, ulteriori ritardi nell’assunzione di provvedimenti potrebbero portare «alla fine della medicina moderna» che fatica sempre più a combattere banali infezioni con la terapia antibiotica a causa della diffusione di superbatteri.

Sul quotidiano inglese sono consultabili i file di una serie di documenti riservati dell’Unione europea, che proverebbero la cancellazione dei piani per la riduzione dell’uso di antibiotici negli allevamenti di animali.

Dalla lettura dei predetti documenti emerge un passo indietro dell’Ue rispetto all’iniziale intenzione di aumentare i controlli su aziende agricole e farmaceutiche fino ad arrivare, addirittura, ad una sostanziale riduzione dei controlli previsti dall’attuale normativa.

Nella bozza del provvedimento mancherebbe il previsto inserimento di criteri ambientali nei trattati internazionali, l’obbligo delle “buone pratiche di produzione”, criteri che avrebbero consentito a ispettori dell’Ue di visitare fabbriche farmaceutiche in Asia e Africa per raccogliere prove dell’inquinamento farmaceutico che, se rilevato, darebbe vita a sanzioni. Basti pensare che in India, dove sono presenti molti poli industriali per la produzione di medicinali per conto dell’Occidente, nei fiumi navigabili è raddoppiato il tasso di inquinamento causato dagli scarichi delle industrie farmaceutiche.

La Commissione europea si è difesa dichiarando: «Non c’è stata nessuna particolare pressione sui funzionari che hanno redatto la bozza».

«Ci sono prove schiaccianti che l’inquinamento farmaceutico contribuisca alla proliferazione di batteri resistenti agli antibiotici e ci stupisce molto che la Commissione europea abbia deciso di non includere restrizioni ambientali nelle sue linee guida – risponde Nusa Urbancic, portavoce della Changing Marktest Foundation (una Ong che vigila sui mercati), e aggiunge – La strategia di Bruxelles è già stata posticipata di tre anni. Sull’indebolimento di questo progetto ci sono le impronte digitali dei colossi del settore farmaceutico».

Purtroppo, il mercato degli antibiotici in Europa muove cifre a diversi zeri tra produzione interna, importazioni ed esportazioni, e il 70 per cento dei battericidi venduti nel Vecchio Continente viene utilizzato nelle fattorie industriali intensive per far fronte alle malattie provocate negli animali da scarsa igiene, sovraffollamento e stress.

Assumiamo antibatterici non solo quando mangiamo carne proveniente da allevamenti zootecnici intensivi ma anche quando mangiamo prodotti agricoli perché, attraverso il letame animale, gli antibiotici raggiungono le falde acquifere inquinando l’ambiente.

Ogni giorno, senza accorgercene, siamo sottoposti ad un bombardamento di queste sostanze che determinano in tutti noi antibiotico-resistenza. Risultato: ogni anno, in Europa, la resistenza ai farmaci provoca tra i 25mila e i 30mila morti e, secondo alcuni esperti, entro pochi decenni, potrebbe diventare la prima causa di morte nel mondo.

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