Tempi storici, tempi biologi e...tempi insostenibili della politica sono tempi assai diversi fra loro: se non si tiene conto dei tempi biologici, di quelli della natura e delle specie, anche le migliori intenzioni della politica finiscono per diventare fallimenti, se non apportatori di nocività. Così sta accadendo.
I fatti: il PNRR riserva 330 milioni di euro per mettere a dimora 6,6 milioni di alberelli in 14 città metropolitane. Di primo acchito, viene in mente: bene, finalmente! Ma l’operazione va fatta in tre fasi. La prima richiede che ne vengano piantate 1.600.000 entro e non otre il corrente 2022. Lo stesso quantitativo va messo a dimora entro il 2023 e il resto nel 2024. Le motivazioni sono giuste: “combattere la crisi climatica, ridurre l’inquinamento atmosferico, promozione della biodiversità”.
Sono stati emanati anche “criteri per la creazione di boschi” nelle città. Ma i tempi strettissimi posti dalla politica sono assolutamente incompatibili con le finalità dell’intera operazione.
Piccolo dettaglio: non ci sono le piante e, meno ancora, quelle “giuste”. Le piante disponibili nei nostri vivai, infatti, non sono sufficienti nemmeno per il primo anno! Allora, nella fretta di spendere, pena revoca dei finanziamenti, le città metropolitane dovranno (hanno già iniziato) per forza di cose importare pianticelle da luoghi lontani, probabilmente anche da continenti lontani. Ecotipi provenienti da climi assi diversi, adattati a condizioni climatiche diverse, a suoli ed ecosistemi assai diversi da quelli di destinazione, hanno notoriamente minori possibilità di successo: sono esposti ad attacchi di parassiti, a regimi meteorologici a cui non sono abituati a resistere, spesso più che vivere sopravvivono. E se le varietà delle specie introdotte (es. com’è avvenuto per i pioppi neri canadesi) si ibridano con quelle nostrane, introducono debolezza generalizzata.
Spesso, con le importazioni selvagge incameriamo anche parassiti, come il punteruolo delle palme che ha ammazzato le palme in tutta l’Italia in pochissimi anni, e molti sono gli altri esempi, purtroppo, di parassitosi e malattie batteriche, fungine importate, sfuggite ai controlli.
La difesa della biodiversità riguarda anche i “genotipi ecotipici”, vale a dire le varietà delle specie che localmente sono passate al vaglio di millenni di selezione naturale e per questo sono le più resistenti, le più adatte ai climi e alle condizioni ove si sono evolute sopravvivendo. La selezione effettuata, invece, con criteri commerciali, estranei alla natura, non garantisce la difesa effettiva della biodiversità, se non in casi veramente assai sporadici.
Che fare? Occorre individuare le specie locali, che “parlano la lingua locale”, selezionate da innumerevoli generazioni alle condizioni locali, che hanno nel DNA la risposta a tutte le potenziali criticità locali. Per questo occorre promuovere un vivaismo improntato a criteri ecologici e non meramente commerciali.
Sarebbe cosa buona e giusta attivare i vivai abbandonati dell’ex Corpo Forestale dello Stato (sciolto quanto più ce ne era bisogno) e quelli comunali. Varare linee guida per la propagazione della flora “giusta” e con criteri giusti e quanto altro necessario. (Una linea guida dell’APAT per propagazione degli alberi e arbusti della flora mediterranea, che ebbi l’opportunità di varare al tempo in cui fui direttore dell’Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente, è disponibile nel web ed è un ottimo inizio…).
Insomma, una cosa così, necessaria e nobile, richiede tempi più lunghi, continuità di azione nel tempo, programmazione, scienza, da dispiegare su scala di decenni a partire da subito (dovevamo farlo da ieri) e non un fuoco di paglia con esiti mediocri se va bene, fallimentari se va come penso. Le plantule messe a dimora inoltre vanno assistite almeno per i primi 3–5 anni. Cose di questa entità e importanza non possono né devono essere sparate in maniera bruciante. Stiamo combinando guai: un po di ecologia ci vuole. E' lo stesso errore insito nel superbonus 110%: lo spirito era e rimane giusto ma i tempi brucianti hanno indotto inflazione e carenza di materie prime. Infatti. i prezzi delle piantine già stanno lievitando....
Restaurare l'ambiente vegetale è ricostruire la "coscienza del luogo", il paesaggio, la bellezza, i servizi ecosistemici, identità. Ovidio lo chiamava "Genius loci".
Giovanni Damiani
Già Direttore di Anpa e Direttore tecnico di Arta Abruzzo
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