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Lunedì, 29 Apr 2024

Come abbiamo più volte scritto su questo giornale, l’Ape sociale, con oneri a carico dello Stato - permetterà di anticipare il pensionamento di vecchiaia fino a 3 anni e 7 mesi ai lavoratori che hanno almeno 63 anni di età, qualora si trovino in difficoltà o svolgano attività particolarmente faticose, siccome previsto dall’art. 1 – commi dal 179 al 186, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (legge di bilancio 2017).

Il 28 aprile scorso, la Commissione speciale (Pres. Carbone, Est. Giovagnoli) del Consiglio di Stato (d’ora in avanti, CdS), al quale era stato trasmesso in ritardo dal governo, ha reso il prescritto parere (n.960/2017) sullo schema di regolamento in materia di Ape sociale, costituito da 13 articoli e da un allegato nel quale sono individuate le attività lavorative gravose, con il quale si intende dare attuazione all’art. 1, commi da 179 a 186 della legge n.232 del 2016.

Nell’esaminare il provvedimento, il CdS segnala innanzitutto la necessità di un costante monitoraggio del funzionamento delle norme del regolamento per verificarne l’idoneità a perseguire in concreto gli obiettivi fissati dalla legge, non solo chiamando in causa l’Inps per l’assolvimento del compito, ma rilevando, da un lato, l’inadeguatezza dell’indicatore usato dalla Vir (Verifica dell'impatto della regolamentazione), per il numero dei soggetti che accederanno alla pensione anticipata, dovendosi quanto meno tener conto anche della distribuzione (delle domande di pensione) fra le diverse categorie interessate, dall’altro, l’insufficienza delle procedure di consultazione attivate, limitate alle tre sigle sindacali maggiori, senza tener conto delle altre parti sociali interessate e del mondo dell’associazionismo no-profit.

Prima di passare all’analisi dei singoli articoli, il CdS richiama anche l’attenzione sul fatto che la natura regolamentare del decreto comporta che esso non può essere meramente ripetitivo di disposizioni già contenute nella fonte primaria, ossia la legge, in quanto ciò è contrario ai principi in tema di semplificazione, rende confuso il quadro normativo e può vanificare eventuali abrogazioni della norma primaria che non richiamino contestualmente anche quella regolamentare.

Al riguardo, il CdS subito rileva come, nell’indicare la platea dei soggetti interessati, già l’art.2 costituisce un’inutile duplicazione della legge. Non solo, ma aggiungendo altri soggetti, esso si arroga un compito che spetta solo alla legge, onde è sempre nella legge che l’indicazione di tale ampliamento va riportata, tanto più che, “trattandosi di prestazioni da erogare entro un tetto di spesa stabilito, l’estensione per via regolamentare del numero degli aventi diritto, si traduce in una corrispondente incisione negativa, preclusa al regolamento, del diritto soggettivo di cui sono titolari i soggetti appartenenti alle categorie previste dalla legge”.

Con riguardo all’art.3, invece, essendo il primo periodo interamente ripetitivo della norma primaria, il CdS ne propone la soppressione, mentre non solleva osservazioni per il secondo periodo, che riguarda una modalità attuativa e dunque trova la sua sede naturale nella fonte regolamentare.

Dell’art.4 il CdS consiglia, da un lato, una integrazione che permetta all’interessato di presentare domanda anche per fax o in via telematica e, dall’altro, visto che il legislatore ha previsto come criterio di priorità quello della presentazione della domanda, l’introduzione di un’altra disposizione secondo cui l’Inps annota sulla domanda la data e l’orario esatto di ricevimento, rilasciandone ricevuta all’interessato, così da stabilire l’ordine cronologico fra domande presentate lo stesso giorno.

Quanto, invece, alle condizioni che devono sussistere già al momento della domanda, il CdS, al fine di renderle più chiare, segnala l’opportunità di introdurre una norma chiarificatrice, che distingua tra quali requisiti devono sussistere al momento della domanda e quali possono maturare anche nel corso dell’anno, dettando al riguardo due previsioni alternative, e sottolineando altresì anche come il termine del 30 giugno 2017 per presentare la domanda sia diventato irragionevole, stante il significativo ritardo con il quale il regolamento verrà emanato.

Meglio sarebbe, secondo il CdS, spostare il termine al 30 luglio. In ogni caso, il CdS segnala la necessità di inserire una norma (meglio se nell’art. 7) in base alla quale, accertata la sussistenza delle condizioni previste, l’Ape sociale sia corrisposta a decorrere dalla data di maturazione dei relativi requisiti (sebbene mai anteriormente al 1° maggio 2017).

L’art. 5 viene letteralmente demolito dal CdS, in quanto stabilisce oneri di produzione documentale e di certificazione in capo a chi presenta la domanda per l’Ape sociale che non risultano necessari e vanno quindi soppressi. Considerato, altresì, che il medesimo art.5 prevede ulteriori atti attuativi la cui mancata adozione rischia di pregiudicare l’avvio della riforma, il CdS segnala la necessità di prevedere espressamente che né la mancata predisposizione del modulo da parte dell’Inps, né la mancata adozione del Protocollo ivi indicato debbano condizionare l’immediata operatività della riforma, onde suggerisce di introdurre apposite norme di salvaguardia.

Quanto all’art.6, relativo alle comunicazioni dell’Inps a chi fa domanda, il CdS rileva in via preliminare che i tempi in esso previsti non sono coordinati con la l. 241/90 e che l’uso del termine comunicazione è improprio, onde suggerisce di chiarire che entro i termini indicati l’Inps conclude il procedimento con provvedimento espresso e ne comunica l’esito all’interessato. In ogni caso, il CdS ritiene che in sede di relazione illustrativa del provvedimento andrebbe meglio evidenziata la sussistenza delle ragioni che hanno reso indispensabile la previsione di un termine superiore a 90 giorni nonché di snellire la rubrica dell’articolo, parlando solo di “comunicazioni dell’Inps”.

Anche sull’art. 7 il CdS ha formulato osservazioni finalizzate a impedire che i ritardi possano tradursi in un differimento dell’indennità, all’uopo suggerendo una riformulazione del comma 2, così che l’Ape sociale venga corrisposta entro il mese successivo a quello di presentazione della domanda di accesso, ma con decorrenza retroattiva sin dalla maturazione dei requisiti. Del comma 3, infine, il CdS chiede la soppressione in quanto meramente riproduttivo del comma 186 dell’art. 1 della legge.

L’art. 8 è uscito massacrato dal vaglio del CdS, visto che questo ha proposto la soppressione, in quanto ripetitivi di norma primaria, dei commi 2 e 3 e della prima parte del primo periodo del comma 1. Di questo comma, svolge invece un’utile funzione di chiarimento la seconda parte concernente i limiti reddituali per l’Ape. Suscita, al contrario, perplessità il secondo periodo del comma 1, il quale introduce un’ipotesi di decadenza dal diritto all’Ape sociale nel caso di superamento dei limiti reddituali, che non ha fondamento nella norma primaria. Anche qui il CdS suggerisce una riformulazione, nel senso che, in caso di superamento dei predetti limiti, l’Ape percepita diviene indebita non per l’intero ma solo per l’eccedenza del reddito percepito rispetto al reddito-soglia.

Anche dell’art. 9, relativo alle verifiche ispettive, viene proposta una riformulazione, essendo stato considerato dal CdS inadeguato a dare attuazione alla norma primaria, in particolare quanto ai criteri da seguire nell’espletamento delle ispezioni da parte del Ministero del Lavoro.

Da riformulare altresì l’art. 10, che rinvia all’art. 2 del regolamento stesso (su cui vedi sopra), mentre il rinvio andrebbe fatto alla norma primaria, con un richiamo al Protocollo di cui all’art.5, comma 3 del regolamento.

A sua volta, l’art.11, che detta i criteri per ordinare le domande al fine di garantire un numero di accessi all’indennità non superiore al numero programmato, secondo il CdS, utilizza una terminologia che presenta alcune ambiguità sia nella rubrica che nel testo, laddove quelli introdotti non sono criteri di monitoraggio ma di priorità tra le domande. Inoltre, lo schema di regolamento appare derogatorio rispetto alla previsione legislativa, in quanto disapplica il criterio della data di maturazione dei requisiti, sostituendolo con quello, privo di fondamento legislativo, della data di raggiungimento del requisito anagrafico per l’accesso al trattamento pensionistico di vecchiaia, alterando così l’ordine di priorità dettato dalla legge, mentre il regolamento dovrebbe solo precisare, in sede attuativa, quando devono considerarsi maturati i diversi titoli di legittimazione, anche ai fini della reciproca comparazione fra le diverse categorie di aventi diritto.

Una deroga inaccettabile è, infine, prevista, secondo il CdS, nell’art.13, relativo all’entrata in vigore del regolamento, fissata per il giorno successivo a quello della sua pubblicazione sulla G.U., laddove sarebbe preferibile, in ossequio all’interpretazione prevalente dell’art.10 delle preleggi, che “debba essere sempre la legge a prevedere, anche per i regolamenti, la deroga all’ordinaria vacatio di 15 giorni”.

Una deroga che, nel caso di specie, il CdS sconsiglia, nell’interesse dell’amministrazione e dei lavoratori.

Possiamo dire, dunque, che la “scure” del Consiglio di Stato, dopo aver colpito lo schema di decreto legislativo contenente il nuovo Testo unico del pubblico impiego (vedere due articoli apparsi sul Foglietto della scorsa settimana 1-2), si è ripetuta, con più che valide argomentazioni, anche in occasione dell’esame dello schema di regolamento relativo l’Ape sociale.

Stante quanto sopra illustrato, se il regolamento non è tutto da riscrivere, poco ci manca. Non ci resta, pertanto, che augurare al governo un cordiale Buon lavoro.

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