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Sabato, 04 Mag 2024

Con l’invio, due giorni fa, dell’atto di indirizzo all’Aran da parte del ministero della pubblica amministrazione, un piccolo passo in avanti è stato fatto verso l’apertura del tavolo della trattativa per il rinnovo dei contratti dei dipendenti pubblici, bloccati ormai da sette anni.

Il documento è stato trasmesso alla vigilia della pubblicazione in Gazzetta del decreto legislativo n. 75/2017, di riforma del Testo unico del pubblico impiego, che in parte dovrà essere recepito nei nuovi contratti.

Prima, però, che Aran e sindacati possano avviare le trattative, occorrerà attendere gli atti di indirizzo dei singoli comparti che, come noto, sono stati ridotti da 11 a 4 e la cui redazione spetterà ai Comitati di settore dei medesimi comparti: Funzioni centrali, Funzioni Locali, Istruzione-Ricerca, Sanità.

Se i tempi sembrano quasi maturi per l’avvio della trattativa, non altrettanto può dirsi per la conclusione della stessa, atteso che le risorse necessarie per assicurare la copertura finanziaria, allo stato, non sono sufficienti, nonostante l’aumento medio a regime per il triennio 2016-2018, concordato tra governo e sindacati confederali con l’intesa del 30 novembre 2016 (alla vigilia del referendum costituzionale del 4 dicembre) sia ben poca cosa rispetto alla perdita del potere di acquisto delle retribuzioni dei lavoratori dal 2009 ad oggi.

Per il 2016, infatti, l’aumento medio lordo sarà di circa 12 euro mensili che, nel 2018 potrà raggiungere i tanto decantati 85 euro lordi mensili, a condizione, però, che con la prossima legge di bilancio vengano stanziate le risorse necessarie per la copertura finanziaria.

Tra le “disposizioni” impartite dal governo all’Aran con il predetto atto di indirizzo, da segnalare quella relativa alla necessità di incentivare le iscrizioni dei dipendenti pubblici ai fondi pensione, che dovranno trovare “adeguata copertura finanziaria all’interno delle risorse contrattuali nonché all’interno delle disponibilità di bilancio già stanziate e contenenti specifiche risorse finalizzate alla copertura degli oneri a carico del datore di lavoro”.

In sostanza, l’atto del governo - in disparte l’esiguità delle risorse - si appalesa alquanto scarno di contenuti e sostanzialmente peggiorativo sotto l’aspetto normativo.

Non si può ignorare, poi, che nel documento non si rinviene alcun riferimento alla sentenza della Consulta n. 178 del 24 giugno 2015, che aveva riconosciuto l’incostituzionalità del blocco dei contratti per il futuro, con la conseguenza che il triennio di riferimento contrattuale deve decorrere dal 24 luglio 2015 (giorno successivo alla pubblicazione della medesima sentenza) e non dal 1° gennaio 2016.

Inoltre, i due nodi principali, vale a dire i criteri per la determinazione della quota di accessorio legati alla produttività e la convergenza verso i 4 nuovi comparti, sono affrontati solo marginalmente e rinviati alla contrattazione.

Si può concludere dicendo che finora si è perso solo inutilmente tempo perché, se si vogliono cercare soluzioni serie a questioni indubbiamente complesse, si finirà per dilatare ulteriormente i tempi di sottoscrizione del nuovo contratto che, come noto, interessa più di 3 milioni di lavoratori.

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