di Adriana Spera
La scorsa settimana avevamo dato ampio risalto alla manifestazione che si sarebbe tenuta sabato scorso, convinti innanzitutto dalle proposte innovative avanzate dal movimento United for Global Change, nato nei mesi scorsi a Madrid e diffusosi rapidamente in tutto il mondo, compresa l'ultraliberista America.
Un movimento che ha analizzato le ragioni di una crisi (ben più grave della grande depressione del '29) e ha avanzato proposte sensate per uscirne.
Una pagina nuova, specie nel nostro paese dove partiti e media, ormai da qualche anno, preferiscono accendere i riflettori sul letto del premier, piuttosto che sulla situazione economica.
V'è chi pensa che la politica sia scesa davvero in basso, in realtà siamo dinanzi ad un'opera di distrazione di massa volta ad occultare le inquietanti analogie tra le posizioni degli uni e degli altri, tutte tese a far pagare il conto ai più deboli anziché a chi speculando ha determinato la catastrofe.
Un teatrino deprimente, cui abbiamo assistito l'ultima volta venerdì scorso, con un'opposizione che prima dà per certa la sfiducia al premier su un provvedimento di routine e poi sceglie di non partecipare al voto. Un tatticismo d'aula più degno di un consiglio circoscrizionale che del massimo consesso.
Come accadde al G8 di Genova nel 2001, le rivendicazioni avanzate hanno raccolto un consenso ampio e trasversale nella società, una circostanza questa che, oggi come allora, deve aver inquietato più d'uno.
Qualcuno, come il governatore di Bankitalia, prossimo presidente della Bce, ha fatto buon viso a cattivo gioco esprimendo solidarietà ai manifestanti.
Altri, purché non si parlasse delle proposte e delle centinaia di migliaia di partecipanti, hanno preferito lasciare il campo libero agli sfascisti di turno.