di Adriana Spera
Il giorno tanto atteso è giunto. Il Cav. ha fatto "un passo indietro" ma solo dopo aver finito di sfasciare un paese sempre più martoriato.
Siamo sicuri che ci sia da festeggiare? Non è una vittoria, non ha vinto la democrazia. Non sono stati né il malcontento popolare né l'opposizione parlamentare a rovesciare la situazione, ma un potere economico che non accetta più di esser rappresentato dall'uomo politico più vicino e si fa esso stesso potere politico.
L'operazione decisa dalla troika (Fmi, Unione europea e Bce), posta in essere come fossimo una repubblica presidenziale, annulla gli spazi della politica e del controllo popolare sulle scelte di interesse generale. Si nega alla comunità la possibilità di cambiare e di determinare gli indirizzi del Parlamento e l'azione del Governo, attraverso il passaggio dalle urne.
Per prevenire il malcontento popolare sono scesi in campo i maggiori gruppi editoriali per convincere tutti della necessità di un governo tecnico. D'altronde, sono essi stessi realtà economiche dalle molteplici attività, in tutto legate alle banche private e alle oscillazioni della borsa. Lo stesso Berlusconi ha dato le dimissioni preoccupato più per la caduta libera del titolo Mediaset che dello spread.
Se si fosse voluti uscire dalla crisi, già dal 2008 l'Europa avrebbe dovuto varare la riforma del sistema bancario e finanziario. Non l'ha fatto e ora si deve accollare i disavanzi e le ricapitalizzazioni necessarie alle banche per sopravvivere, tagliando le già esigue risorse destinate al welfare.Si tratta di un drenaggio di risorse che impedisce la ripresa.
Perciò chi crede che un governo tecnico - espressione di quel mondo della finanza che chiede di tagliare le pensioni, facilitare i licenziamenti, privatizzare i beni comuni - possa prendere provvedimenti equi, si sbaglia di grosso.