di Rocco Tritto
I dati sull’affluenza alle urne per il rinnovo dei consigli regionali hanno sollevato non pochi interrogativi sul perché più di un terzo dell’elettorato abbia deciso di rinunciare
all’appuntamento elettorale. Disaffezione? Protesta? Delusione? Non è certo facile stabilirlo.
Ciò che è certo, invece, è che per la democrazia intesa nel senso di partecipazione è stato un colpo durissimo dal quale non sarà facile riprendersi. Chi, in questi ultimi anni ha contribuito non poco ad accentuare un forte scollamento tra la comunità e le istituzioni dovrebbe fare, al più presto, un serio mea culpa.
Ma, purtroppo, è facile prevedere che ciò non avverrà e che, al contrario, la distanza tra amministratori e amministrati aumenterà sempre più, a causa di un modo di fare politica che urta violentemente contro i più elementari principi della democrazia che, come noto, si fonda proprio sul dialogo partecipativo.
Il cittadino, quando viene considerato solo come strumento da utilizzare per prendere atto di decisioni già assunte, alla fine preferisce rinunciare ad esercitare il suo diritto/dovere di elettore, così aggravando la crisi della democrazia.
Una crisi che non sembra risparmiare anche altri pilastri importanti del sistema democratico del nostro paese, come quello sindacale, che dovrebbe essere lo scudo protettivo per milioni di lavoratori. Anche in questo delicato e strategico settore, dominato dal monopolio confederale, si registra un forte calo di partecipazione che è il sintomo più grave della crisi della democrazia senza la quale, però, si precipita nell’autoritarismo.