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Giovedì, 05 Dic 2024

L'astensione elettorale ha segnato il risultati di ieri della Liguria. Soprattutto in questa luce va valutato il voto che ha visto prevalere di misura la destra e il suo candidato Bucci su Orlando e la coalizione che lo sorreggeva.

La sinistra e i progressisti non vincono se non riportano alle urne almeno una porzione larga dei ceti popolari disillusi, indifferenti o sfiduciati preda, e con qualche ragione, del "sono tutti uguali". Quando non c'è questa presa popolare, a prevalere è il voto condizionato da lobby, camarille, sistemi di potere consolidati, cordate varie e il suo corredo di populismo più o meno becero.

La considerazione sarebbe strategica per tutti i partiti e per tutta la democrazia italiana ma, non c'è da farsi illusione, alla destra va bene così ovvero lo spegnersi di ogni partecipazione, di ogni empito di trasformazione dello stato di cose esistente, di ogni idealità anche moderata e liberale. La storia italiana lo dimostra ad abundantiam. Perciò la considerazione è strategica soprattutto per la sinistra progressista tutta, poiché al suo risollevarsi è legato il destino della democrazia.

Il calo della partecipazione in Liguria è stato di circa il 5% rispetto alle europee di giugno attestandosi al 46%, al di sotto abbondantemente del già preoccupante 50,61% voto europeo.

Se non si parte da qui allora ci si perde in altri fattori ed errori, che per carità non sono certo mancati nei progressisti, a cominciare da una certa sicumera su una vittoria facile dopo lo scandalo Toti per proseguire col dissidio Conte-Grillo, agli errori del primo e del secondo, alle incertezze della Schlein, al fattore maltempo ecc..

Oggi, c'era da aspettarselo, alcuni soliti commentatori rimpiangono l'esclusione di Renzi come se la sua presenza fosse stata determinante a far vincere Orlando e non a farlo perdere peggio. Tutti discorsi strategicamente politicisti, pur con verità parziali, dominati da somme matematiche di pere con le mele che con la realtà politica poco o nulla hanno da spartire.

La cosa che emerge, ma lo era già stata nelle regionali di Abruzzo, Basilicata e Piemonte pur nelle loro diversità di schieramenti e candidati, è il profilo di una coalizione progressista che non c'è stata e che è la causa principale dell'incapacità della sinistra progressista di riportare al voto il popolo degli astenuti.

Sta di fatto che i partiti più unitari tra i progressisti come il Pd e Avs, pur con tutti i loro limiti e contraddizioni interne ed esterne, aumentano in percentuale come il Pd che al 28% quasi raddoppia FdI al 15%, oppure consolidano la loro posizione come Avs. Mentre il M5s, nel pieno dello scontro Conte-Grillo, ha una caduta notevole.

Ovviamente bisogna fare i raffronti non solo con le europee, ma anche con le politiche del 2022, quelli con le regionali del 2020 pure, ma da allora siamo in un' altra fase politica e l'unica cosa significativa è il raffronto dell'affluenza alle urne calato inesorabilmente di 7 punti e mezzo.

Naturalmente la destra canta vittoria per l'insperato successo. L'incollatura con cui Bucci ha vinto su Orlando copre abbondantemente tutti gli elementi negativi emersi al suo interno. A cominciare del calo vistoso del partito della Meloni dovuto, dicono propagandisticamente i post fascisti, alle donazioni di sangue fatte alle liste civiche, ma, soprattutto, fino al risultato di Genova comune. Qui il "sindaco del fare" quello del ponte Morandi, avrebbe dovuto stravincere, invece la coalizione orlandiana l'ha sopravanzato di circa 8 punti percentuali e di circa 18.000 mila voti con un affluenza leggermente al di sopra del 50%. Insomma Bucci ha funzionato nella Regione, nel suo Comune dove è sindaco, per nulla. E siccome lì si dovrà rivotare tra qualche mese, speriamo che la coalizione progressista sia più accorta e unita su un programma adeguato.

Riconquistare Genova per i progressisti sarebbe già una rivincita.

Aldo Pirone
scrittore e editorialista
facebook.com/aldo.pirone.7
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