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Lunedì, 10 Nov 2025

Il quinto potere di Bill Condon, con Benedict Cumberbatch, Carice van Houten, Daniel Bruehl, Stanley Tucci, Alicia Vikander, Dan Stevens, Anthony Mackie, Peter Capaldi, David Thewlis, Laura Linney, Moritz Bleibtreu, Jamie Blackley, Hera Hilmar, Michael Jibson; durata 124’, nelle sale dal 24 ottobre 2013 distribuito da 01 Distribution

Recensione di Luca Marchetti

Era un’operazione difficile, forse quasi impossibile, quella di annoiare a morte il proprio pubblico con un film incentrato sul caso Wikileaks e sul suo fondatore, il guru Julian Assange. Purtroppo per noi il regista Bill Condon (buon professionista, già dietro gli interessanti Kinsey e Demoni e Dei), è riuscito in quest’ardua missione.

Il quinto potere (traduzione furba del più sensato The Fifth Estate) è, ahinoi, una pellicola noiosa con uno script colpevolmente banale, perso dietro meccanismi troppo difficili da seguire e scelte narrative inoffensive.

Se si vuole fare un paragone, in realtà ingiusto, con The Social Network (l’evidente riferimento cinematografico degli autori) non si può che trovare Il quinto potere un’opera inadeguata. Certo, non è colpa del regista e dello sceneggiatore non avere il talento e il genio di David Fincher e Aaron Sorkin, ma con un materiale di partenza cosi esplosivo, e soprattutto con un anti-eroe dalle potenzialità cinematografiche illimitate come Assange, era doveroso aspettarsi di più.

Messa da parte una regia non esaltante, appesantita da trovate visive talmente ingenue da suscitare anche simpatia (la rappresentazione della Rete, ad esempio), bisogna concentrarsi sul ben più grave lavoro fatto con lo script.

Lo sceneggiatore John Singer, scegliendo di appiattirsi alla versione del “traditore” Daniel Berg (il collaboratore pentito), dalle cui memorie è ispirato il film, abbraccia un punto di vista manicheo, che rende tutta la storia prevedibilmente didascalica. Ciò porta non solo alla costruzione di personaggi superficiali come il Berg di Daniel Bruhl (reduce dalla performance ben più esaltante di Rush) ma anche a imbarcarsi in riflessioni sul giornalismo moderno che, se paragonate a quelle viste nella meravigliosa serie tv The Newsroom (non a caso scritta da Aaron Sorkin), sono fastidiosamente fuori tempo e fuori luogo.

Un discorso diverso lo merita, invece, il personaggio Assange, interpretato dall’ottimo Benedict Cumberbatch. L’attore inglese, oltre ad un’impressionante somiglianza fisica, regala al suo ruolo tutto il suo mestiere, rifacendosi molto anche al suo Sherlock Holmes televisivo.

Il suo Julian Assange diventa cosi un personaggio affascinante, a metà strada tra il luciferino Mark Zuckerberg di Fincher e il Joker di Nolan (i capelli bianchi come le cicatrici del villain interpretato da Ledger), sempre lontano, però, dallo status leggendario che avrebbe meritato.

Il vero Julian Assange ha attaccato violentemente questa pellicola, considerandola, forse non a torto, un’operazione di delegittimazione.

Secondo noi, più che per questo motivo, l’attivista si dovrebbe lamentare del fatto che la sua storia sia alla base di un film mediocre, frutto tipico di un cinema hollywoodiano pigro, in cui la piattezza della monocromaticità morale è preferita alle ambiguità e alle sfumature.

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