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Venerdì, 03 Mag 2024

Diritti per forza di Gustavo Zagrebelsky, editore Einaudi, Torino, 2017, pp.144, euro 12.

Recensione di Roberto Tomei

Il libro è una riflessione a tutto campo sui diritti, dei quali vengono messi in risalto le contraddizioni, per come si appalesano in un mondo come il nostro, sempre più ingiusto e violento e sempre più piccolo.

E pensare che il tempo in cui viviamo era stato celebrato appena pochi anni fa come l’età dei diritti. Ma va ricordato che persino Norberto Bobbio, autore di una serie di articoli poi confluiti in un notissimo libro intitolato proprio L’età dei diritti (1990), ebbe a dire che, se ne avesse avuto il tempo e la forza, avrebbe volentieri scritto una “età dei doveri”, esclamazione sorprendente ma senza sviluppi, che non ha suscitato un’attenzione adeguata alla sua importanza. Lo stesso Bobbio, nella sua “Autobiografia”, pronunciò comunque parole dure sulle tante proclamazioni di diritti, in particolare di “diritti umani”, bollate come “un’invenzione che rimane più annunciata che eseguita”, considerata la sistematica violazione di questi diritti in quasi tutti i paesi del mondo “nei rapporti tra potenti e deboli, tra ricchi e poveri, tra chi sa e chi non sa”.

La durezza dei rapporti effettivi, ossia quelli che si instaurano di fatto fra gli esseri umani, fa sorgere così la questione che è al centro della riflessione dell’autore: “i diritti non come protezione contro le ingiustizie, ma, al contrario, come legittimazione delle ingiustizie”. Secondo Zagrebelsky, occorre prendere atto che al mondo non esistono più spazi vuoti, ma che viviamo in uno spazio “saturo in cui non esistono riserve di risorse inutilizzate e utilizzabili”, sicché “le esigenze della convivenza esigono che si abbassi, per così dire, la temperatura dei diritti a iniziare da quelli più pretenziosi e voraci, oppure ci si deve preparare al peggio”, come insegna la parabola storica dell’isola di Pasqua.

Nel tempo nostro, dobbiamo perciò parlare “di vita buona, di felicità e di cose simili, in un senso completamente diverso” dal passato. La logica dei diritti, infatti, quando diventa insaziabile, pone problemi di coesistenza e pericoli di sopraffazione. Viceversa, oggi è di nuovo tempo di doveri, non verso Dei o Sovrani, ma verso i nostri simili, nella consapevolezza che nella rete dei doveri “gli spazi per i diritti si aprono se e quando sono consentiti”.

In questo contesto, si colloca la grande questione dei “diritti” delle generazioni future, oggetto di molteplici riflessioni e di diverse dichiarazioni, purtroppo rimaste al livello di semplici proclamazioni e tuttavia segni di un progresso morale dell’umanità. Quando si apre il discorso sulle generazioni future, si deve però constatare come il diritto incontri difficoltà notevoli, avendo esso sempre avuto a riferimento e come nozione chiave quella del diritto soggettivo. E siccome il diritto soggettivo presuppone un titolare presente, le generazioni future, in quanto future, non hanno alcun diritto soggettivo da vantare nei confronti di quelle precedenti.

Si tratta qui di operare una rivoluzione culturale, scoprendo i doveri non come contropartita dei diritti ma come posizioni giuridiche autonome che vivono di vita propria, in corrispondenza a principi di giustizia oggettiva, espressione non di libertà ma di autorità, rappresentata dallo Stato, ovvero da organizzazioni internazionali o sovranazionali portatrici di interessi generali. In breve, il compito dei viventi è di preservare le condizioni della vita biologica e della sua libertà, affinché anche in futuro sia sempre possibile “darsi un nuovo inizio”. Irrompe qui sulla scena la nuova categoria dei “beni comuni”, né pubblici né privati, comunque da preservare, categoria dai confini incerti e, per ora, senza una traduzione giuridica pratica e senza strumenti efficaci di tutela. Alla scienza giuridica spetta, dunque, un ruolo importante, ma, conclude l’autore, essa può ben poco se non è “sostenuta da dinamiche economiche, politiche e culturali”.

Quel che alla scienza giuridica si può chiedere è di “affrancarsi dall’idea astratta dei diritti”, vedendone non solo ”il lato liberatorio, ma anche quello sopraffattore”, mettendo insomma ”in rapporto le pretese dei diritti con il problema della giustizia”.

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