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Domenica, 19 Mag 2024

Scienziati pazzi di Luigi Garlaschelli e Alessandra Carrer, Editore Carocci, Roma, 2017, pp.183, euro 19.

Recensione di Roberto Tomei

Il punto da cui occorre partire è che, nel corso dei secoli, alla scienza si sono votate molte persone (uomini e donne) che - abbandonando miti, superstizioni, illusioni e erronee interpretazioni - hanno dedicato tutta o gran parte della loro vita a svelare i segreti dell’universo. Si tratta di persone che sull’altare della ricerca hanno sacrificato se stesse e le loro famiglie, quando le avevano, ma sarebbe assolutamente sbagliato credere che tutti gli scienziati, o quasi, siano un po’ svitati.

Sta di fatto che per fare il loro lavoro, immersi com’erano nella ricerca, sono spesso diventati ossessivi e hanno trascurato le implicazioni etiche e sociali che potevano derivare dalle loro scoperte. Così come alcuni di essi hanno finito per esibire comportamenti quanto meno bizzarri, diventati uno stereotipo a partire dal famoso romanzo di Mary Shelley “Frankenstein, o il moderno Prometeo”, che fu subito un successo e che conobbe già nel 1826 un adattamento teatrale.

Da allora, di romanzi, racconti e film, muti o parlati, ce ne sono stati tanti, influenzando così in modo decisivo l’iconografia dello scienziato pazzo: tedesco o di lingua tedesca, quasi sempre maschio e non più giovanissimo, con capelli lunghi e grigi, che opera in un laboratorio assai disordinato, ricolmo di ogni genere di apparecchiature e che finisce, proprio come Frankenstein, vinto e distrutto, dopo aver in tutti i modi cercato di ricreare la vita. Se poi è un genio del male, esplode a volte in risate maniacali di scherno o di trionfo.

Aprendo la porta a una carrellata di personaggi incredibili (dai pietrificatori di cadaveri ai ricercatori delle capacità extrasensoriali, passando per i trapiantatori di teste e il chimico che parlava con gli extraterrestri, ma c’è tanto altro ancora), geniali e divertenti, tutti realmente esistiti, gli autori hanno cercato non solo di risalire alle origini storiche e letterarie dello stereotipo, ma anche di capire quando lo scienziato pazzo era davvero tale e quando invece era solo bizzarro. Nel libro si susseguono così le rievocazioni di esperimenti durati anni, spesso falliti, osteggiati da altri scienziati ovvero non riconosciuti nel loro valore. Esperimenti a volte geniali, a volte pericolosi, altre volte ancora ridicoli.

Tanti i campi degli scienziati pazzi, che conoscono la loro “stagione d’oro” dai primi del XIX secolo alla metà del secolo successivo. Ma si deve anche tener presente che il concetto di “normalità” cambia da epoca a epoca, da paese a paese, da gruppo sociale a gruppo sociale, sicché è difficile stabilire chi meriti la qualifica di scienziato pazzo. Gli autori hanno deciso così di tener fuori dalla categoria tanto gli ignoranti presuntuosi e i visionari disinformati quanto gli imbroglioni in malafede e i sadici coscienti (come i nazisti dell’universo concentrazionario).

Due, in fin dei conti, le categorie prese in considerazione nel libro: innanzitutto, quella degli scienziati tout court, che a un certo punto “hanno cominciato a dimostrare chiaramente di avere qualche rotella fuori posto”, sicché la loro fama precedente ha reso talvolta difficile comprendere appieno questa loro deriva; in secondo luogo, quella dei ricercatori che non hanno mai deviato verso una patologia, ma hanno seguito la loro ricerca “incuranti delle stranezze alle quali essa portava, delle convenzioni sociali, dell’opportunità politica o dei pericoli in essa impliciti”.

Anche se tratta di scienza, sia pure scienza folle, ossia di un argomento non proprio alla portata di tutti, il libro si legge tutto d’un fiato, come un romanzo e, quando si arriva alla fine, veramente dispiace di non avere altre pagine da leggere.

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