A Beautiful Day di Lynne Ramsay, Joaquin Phoenix, Ekaterina Samsonov, John Doman, Alessandro Nivola, Alex Manette, durata 95’, nelle sale dal 1° maggio, distribuito da Europictures.
Recensione di Luca Marchetti
Possono solo le musiche stranianti, oniriche e trascinanti del genio di Jonny Greenwood salvare un film saccente e devastante? Dato il nostro enorme amore verso il compositore inglese, musicista dei Radiohead e collaboratore fedele del maestro Paul Thomas Anderson, vorremo tanto dare una risposta affermativa. Purtroppo, opere sbagliate come questo A Beautiful Day non possono far altro che “rovinare” tutto ciò che contaminano, anche il talento di artisti sopraffini. Forse, il nostro è un giudizio troppo definitivo ma, di fronte al Cinema di Lynne Ramsay, non riusciamo, sinceramente, a salvare nulla, schiacciati inesorabilmente dal vuoto pneumatico della sua proposta autoriale.
Trionfatore all’ultimo Festival di Cannes con ben due premi (miglior sceneggiatura e Joaquin Phoenix miglior interprete maschile), A Beautiful Day è l’adattamento molto libero di un racconto noir del novellista Jonathan Ames (famoso per essere l’autore delle serie comica Bored to Death).
Qui la parabola violenta del reduce Joe, diventato esperto nel recupero di ragazzine scomparse, assume i contorni sfumati del sogno ridondante, persa tra i fantasmi di un passato di dolori e un presente di ordinaria follia. Il racconto di Ames (pubblicato come romanzo breve dal titolo Non sei mai stato qui) è un piccolo e riuscito esercizio di scrittura, il delirio in prima persona di un uomo autodistruttivo, pronto a continuare la sua missione fino all’inferno. Giocando con l’hard boiled classico e il thriller postmoderno, Ames confeziona una storia veloce e stordente, più efficace come gioco narrativo che come, effettivo, oggetto letterario.
Nelle mani di Lynne Ramsay, conosciuta in Italia per il terrificante …e ora parliamo di Kevin, il racconto di Ames diventa, però, l’ennesimo prodotto auto-referenziale di un’autrice interessata solo, come molti altri suoi colleghi, a mettere in mostra la propria stantìa idea di cinema indipendente, senza mai cercare di consegnare al pubblico qualcosa di sincero. Quante volte, negli ultimi anni, ci siamo trovati di fronte a personaggi mostruosamente brutali ma dal cuore d’oro? Quanto spesso abbiamo avuto a che fare con violenza estetizzata, con il noir rarefatto, con il genere thriller smontato fino a diventare manierismo spicciolo? A Beautiful Day conserva ed espone, con arroganza, tutto ciò, svendendo la propria povertà artistica per coraggio concettuale e intraprendenza intellettuale.
Filtrata dall’occhio cinico della regista, la storia del buon Joe e della sua missione di salvataggio, tra corruzione e sangue, perde tutto il fascino del soggetto iniziale, per deragliare nella disperazione più ripetitiva, nelle metafore più scontate. Di A Beautiful Day, alla fine, resta davvero ben poco, se non l’interpretazione muscolare e totale del suo splendido protagonista.
Gonfio, solitario e dolente, Joaquin Phoenix fa di tutto per sobbarcarsi la salvezza dell’opera, mettendo il proprio corpo straziato e il proprio carisma soffocante al servizio della visione (egoista) della Ramsey. La sua abnegazione alla causa, pur garantendogli un meritato elogio della critica, non riesce a convincerci delle buone e oneste intenzioni di un lavoro che, solo con un enorme e retorico sforzo di fantasia, può essere considerato vicino a opere strutturate e ambiziose come Taxi Driver o Drive.
Critico cinematografico