Le donne sono storicamente assenti dai luoghi, dai gruppi di persone, dagli ambiti sociali che hanno consentito lungo i secoli la formazione del pensiero occidentale. Raccontare la loro storia significa allora seguire le tracce di questa assenza, cercando di rispondere a una domanda: cosa facevano le donne, o cosa non facevano nell'impresa scientifica? In che misura ne sono state assenti? E per quali ragioni?
Per lungo tempo queste domande non hanno trovato risposte adeguate, perché la presenza femminile nella storia occidentale è stata naturalmente, tacitamente o esplicitamente, considerata marginale: confinata all'interno delle mura domestiche secondo una marcata divisione tra il mondo maschile produttivo (pubblico) e quello femminile riproduttivo (privato).
Quando le donne compaiono sulla scena del sapere pubblico, più spesso come oggetto di studio che come soggetto di sapere, le loro storie sono in ogni caso raccontate dagli uomini.
Come la storia degli altri saperi, anche la storia della scienza è un racconto di uomini, sulla base di archivi raccolti da uomini, quasi sempre con oggetto fatti che hanno riguardato uomini.
Peraltro, la storia della scienza esclude le donne a partire da un pregiudizio ulteriore: la scienza, e ancor prima la filosofia, si è costruita nei secoli secondo un modello di fatto maschile, in cui l'accesso delle donne e del femminile è precluso per definizione.
Nella “Scuola di Atene di Raffaello”, l’unica scienziata è Ipazia, filosofa neoplatonica, astronoma e matematica, trucidata da fanatici cristiani perché era una donna che non aveva paura di parlare in pubblico, separando la scienza dalla religione.
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Sara Sesti
Matematica, ricercatrice su " Donne e scienza", collabora con l'Università delle donne di Milano
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