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Giovedì, 25 Apr 2024

Influencer due ID 6910E’ sicuramente interessante osservare come il fenomeno degli influencer, ossia i venditori di prodotti che usano la propria notorietà social come veicolo di promozione, abbia iniziato a ispirare gli economisti al punto da dedicare loro ricerche notevolmente complesse come quella pubblicata alcune settimane addietro dal Nber (A model of influencer economy).

Una ricognizione che, al di là delle conclusioni alle quali giunge, che come sempre sono discutibili, evidenzia quella che a noi osservatori sta più sta a cuore: la trasformazione di vecchie pratiche in nuovi settori economici.

L’influencer, lo abbiamo detto, non fa altro che vendere prodotti. E vendere prodotti è un’attività che, in una forma o nell’altra, va avanti da quando è nato il commercio, migliaia di anni fa. Ciò che fa di questi piazzisti la novità del decennio – così almeno scrivono gli autori – è il fatto che siano nati all’interno del fenomeno più generale delle sviluppo dei social network. L’influencer è una creatura della folla, si potrebbe dire. E come tale influenza la folla stessa lucrandoci.

In sé, non è certo una novità. Il mondo è pieno di star del cinema che aprono ristoranti o negozi di intimo, associando il loro nome, ossia il marchio, a qualunque oggetto capace di essere venduto. In tal senso, l’influencer è solo l’ultimo arrivato di un collaudato sistema di economia delle celebrità che va avanti massicciamente da oltre un secolo – se ne vedevano le avvisaglie già nel secolo XIX – ma che ha conosciuto il suo sviluppo più drammatico a partire dal secondo dopoguerra. Di questo ne riparleremo, magari altrove, visto che la storia è molto istruttiva.

Qui limitiamoci agli ultimi arrivati. I dati riportati nel paper del Nber raccontano di un mercato americano generato da questi soggetti, cresciuto da 1,7 miliardi nel 2016 a 9,7 nel 2020, con la stima che abbia raggiunto i 13,8 nel 2021. In pratica, si è quasi decuplicato in poco più di un lustro, replicando in sostanza lo sviluppo del mezzo – reti, tecnologie e software sociali.

Si calcola, ad esempio, che in Cina nel 2019 fossero operative 6.500 aziende collegate in qualche modo al mercato degli influencer, con una quota di mercato di questi industrie superiore ai 500 miliardi di yuan nel 2021, che si prevede arriveranno a 700 entro il 2024.

In questo mare magnum, per il quale le restrizioni Covid hanno funzionato come esemplare brodo di coltura, nuotano varie specie di nuovi soggetti economici: i creatori di contenuti, le celebrità e gli idoli, o i costruttori di opinione (Key opinion leader, KOL). Tutti hanno in comune il fatto di gestire una base di fedeli, attratti dal loro carisma, dalla loro saggezza o dalla loro personalità, o – diciamo noi – semplicemente dal fatto che sono celebri, e la circostanza che guadagnano dai loro consigli per gli acquisti, come si diceva una volta, potendo contare sulla compiacenza delle aziende produttrici ,che in loro hanno trovato un canale innovativo di pubblicità.

Ciò malgrado “l’organizzazione industriale dell’economia degli influencer è ancora poco compresa”, scrivono gli autori del paper. “In che modo lo sviluppo tecnologico influenza il rapporto fra influencer e produttori? In che modo gli influencer modellano la differenziazione e il prezzo dei prodotti? Come vengono abbinati influencer e proprietari di marchi e come regolare il processo?

Ecco alcune delle domande alle quali il paper si propone di rispondere, sviluppando un modello basato sulla teoria dei giochi che sicuramente appassionerà gli amanti del genere. In questo modello, i giocatori sono sostanzialmente due: i produttori e gli influencer. C’è anche il pubblico, ovviamente, che però incarna solo la sua consueta caratteristica di pubblico pagante. La preda. Il premio del vincitore.

Non serve adesso qui dilungarsi sui dettagli. Basti sapere che la vita degli influencer non è tutta rose e fiori. Anche’essi devono vedersela con andamenti di reddito non monotoni, per usare un linguaggio matematico. Detto diversamente: sono soggetti ad alti e bassi: devono guadagnarsi di che vivere in questa lotta fra produttori avari e consumatori volatili. Il che ce li rende simili a noi, che non siamo celebri e tanto meno capaci di influenzare alcunché. Gli influencer, come tutti noi, devono guadagnarsi la giornata. E se è vero che possono raggiungere livelli elevati di esposizione – che significa reddito – è vero altresì che questo non li salva dai rovesci della fortuna.

Tutto questo ci ricorda che qualunque sia l’innovazione che l’economia propone, quando si tratta di articolare il mercato, rimangono sempre valide alcune leggi auree. Fra queste vale la pena ricordare che la soddisfazione di un consumatore deriva innanzitutto dalle sue scelte di acquisto e che quindi occorre ragionare sulla struttura alla base del suo processo decisionale. Rendere efficiente quest’ultimo, aiuta a raggiungere il primo obiettivo.

Da qui deriva che un’economia che si basa sul principio dell’identificazione – con un influencer o una qualunque celebrità – non lavora in questa direzione. Lavora per massificare le scelte e quindi per massimizzare la funzione di utilità del produttore. Se in consumatori capissero questo, non dico che vivremmo in un mondo migliore. Ma sicuramente più avveduto.

maurizio sgroi tondo 130x130 cMaurizio Sgroi
giornalista socioeconomico
autore del libro La storia della ricchezza
Twitter @maitre_a_panZer
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