di Adriana Spera
Si usa l'immagine di un premier impresentabile, al punto da suscitare l'ilarità di altri capi di governo europei, per venderci un cumulo di bugie.
Nei dieci punti posti (o meglio imposti) dall'Ue non si parla affatto di pensioni ma, prevalentemente, di liberalizzazioni e privatizzazioni.
Già tale circostanza sarebbe singolare alla luce della gestione essenzialmente pubblicistica dei servizi nei due paesi leader di Eurolandia.
Ma ciò che appare sconcertante è che media, mondo politico e imprenditoriale ci diano ad intendere che tra le priorità imposteci vi sarebbe l'ennesima riforma delle pensioni.
Così non è, né potrebbe essere perché non v'è alcuna direttiva dell'Ue che preveda la cancellazione delle pensioni di anzianità o il sistema contributivo per tutti. Tant'è che in nessun paese si va in pensione a 67 anni.
Solo la Germania si è dotata di una legge in tal senso, che però entrerà in vigore a regime. Infatti, l'età media di pensionamento è di 61,6 anni per gli uomini e 59,9 per le donne.
In Francia, il limite è ancora di 60 anni. I più "virtuosi" sono gli spagnoli con 62,6 per gli uomini e 59,5 per le donne.
Il nostro è il sistema pensionistico più forte d'Europa, come confermato da un Rapporto Ue del 2009. E forse proprio qui sta il problema.
Quasi nessuno ha scelto di ricorrere ai fondi pensione, mentre le risorse accantonate dagli enti previdenziali costituiscono un tesoro appetibile, tant'è che già nella prima manovra estiva si sono posti gli investimenti di questi enti sotto il controllo della Commissione di vigilanza sui fondi pensione.
Ma v'è di più, nel settore privato il Tfr dei lavoratori è un fondo di riserva degli imprenditori, quindi più tardi si va in pensione, più a lungo quelle risorse restano in cassa, a costo zero.
Al danno dovrebbero almeno risparmiarci la beffa di illuderci che il prolungamento della vita lavorativa sia un sacrificio necessario per aiutare i giovani. Sicuramente, a restare disoccupati.