La Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n.655 del 6 gennaio 2015 (Pres. Roselli, Rel. Tria), ha stabilito che nel caso di rapporti di lavoro “privatizzati” alle dipendenze della pubblica amministrazione, il recesso del datore di lavoro nel corso dei periodo di prova ha natura discrezionale e dispensa dall’onere di provarne la giustificazione diversamente da quel che accade nel recesso assoggettato alla legge n. 604 del 1966.
Peraltro – per i giudici della Cassazione – anche nel lavoro pubblico, l’esercizio del potere di recesso deve essere coerente con la causa del patto di prova, che consiste nel consentire alle parti del rapporto di lavoro di verificarne la reciproca convenienza, sicché, non è configurabile un esito negativo della prova ed un valido recesso qualora le modalità dell’esperimento non risultino adeguate ad accertare la capacità lavorativa del prestatore in prova, ovvero risulti il perseguimento di finalità discriminatorie o altrimenti illecite.
Infine – si legge nella sentenza in rassegna – in tema di obbligo di motivare il recesso in periodo di prova, se previsto dal contratto collettivo di comparto, con specifico riferimento al lavoro pubblico, è ammissibile la verificabilità giudiziale della coerenza delle ragioni del recesso rispetto, da un lato, alla finalità della prova e, dall’altro, all’effettivo andamento della prova stessa, ma senza che resti escluso il potere di valutazione discrezionale dell’amministrazione datrice di lavoro, non potendo omologarsi la giustificazione del recesso per mancato superamento della prova a quella della giustificazione del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, dovendosi, di conseguenza, escludere che l’obbligo di motivazione possa spostare l’onere della prova sul datore di lavoro.