Nel rapporto di lavoro alle dipendenze di pubblica amministrazione, il recesso disposto dall’ente prima che termini il periodo di prova ha natura discrezionale e dispensa dall’onere di fornire la giustificazione e ciò in quanto trattasi di atto gestionale del rapporto di lavoro, adottato con le capacità e i poteri del privato datore di lavoro.
Questo è quanto emerge dalla sentenza della Sezione Lavoro della Cassazione n. 9296, pubblicata in data 11 aprile 2017, che ha respinto il ricorso proposto dal vincitore di un concorso bandito dal ministero dell’Istruzione, già risultato soccombente sia in primo grado che in appello.
Per i Giudici della Suprema Corte, infatti, la disciplina del pubblico impiego è del tutto estranea alla normativa sul lavoro privato perché l’accesso ai posti nelle amministrazioni può avvenire solo sulla base di rigorose prove selettive, secondo il principio enunciato dall’articolo 97 della Costituzione. È la legge che assoggetta l’assunzione a un periodo di prova (articolo 70, comma 13, del Testo Unico del pubblico impiego), mentre l’autonomia contrattuale può incidere soltanto sulla durata, in forza di quanto stabilisce la contrattazione collettiva.
Ne consegue che l’ente non è tenuto a spiegare le ragioni del recesso neppure in base all’articolo 3 della legge 241/90, che, come noto, stabilisce che i provvedimenti amministrativi debbano essere motivati. Nel caso di specie, invece, si è di fronte a un atto di gestione del rapporto di lavoro adottato con i poteri del datore privato ma non in base all’art.2096 del codice civile, che disciplina il rapporto tra datore di lavoro privato e lavoratore.