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Mercoledì, 24 Apr 2024

Che cos’è reale? La scomparsa di Majorana di Giorgio Agamben, editore Neri Pozza, Vicenza, 2016, pp.78, euro 12,50.

Recensione di Roberto Tomei

Come quella più recente di Federico Caffè, la scomparsa di Ettore Majorana, avvenuta il 25 marzo 1938, è uno dei grandi misteri irrisolti della nostra storia, sul quale ciclicamente si concentra l’attenzione del pubblico. Da ultimo, appena qualche anno fa, si diffuse la notizia che lo scienziato avrebbe vissuto quanto meno gli ultimi anni della sua vita, sotto falso nome, in Venezuela. Se ne parlò per qualche giorno, poi tutto tornò nell’oblio. Ancora una volta, come del resto è sempre accaduto prima.

Alla vicenda, in particolare alle motivazioni della scomparsa, Leonardo Sciascia aveva dedicato nel 1975 un libro eccellente, ricostruendo la complessa personalità del suo conterraneo, le sue inclinazioni filosofiche e letterarie, i difficili rapporti con Fermi e il fecondo incontro con Heisenberg a Lipsia nel 1938. La tesi, meglio l’ipotesi, di Sciascia è che Majorana avesse intuito quel che Fermi non era riuscito a vedere, cioè che gli esperimenti di via Panisperna sulla radioattività potevano portare alla scissione dell’atomo di uranio. Se era un genio, come diceva Fermi, perché non avrebbe potuto intuirlo? Sciascia, peraltro, corrobora questa sua ipotesi ricordando come già nel 1921, parlando delle ricerche atomiche, Rutherford, un fisico tedesco, aveva avvertito: “Viviamo su un’isola di fulmicotone”, aggiungendo che, grazie a Dio, ancora non avevano trovato il fiammifero per accenderla, ma lasciando anche intendere che, una volta trovatolo, quel fiammifero qualcuno ben avrebbe potuto accenderlo. Sciascia si dice così convinto che un genio della fisica, quindici anni dopo, trovandosi di fronte alla virtuale, anche se non riconosciuta, scoperta della fissione nucleare, poteva aver capito che il fiammifero c’era già ed essersene allontanato con sgomento, con terrore.

Agamben percorre a sua volta un’altra strada, facendo leva, oltre che su contraddittorie comunicazioni inviate dallo stesso Majorana a Carrelli, suo collega nell’Università di Napoli, soprattutto su un articolo di Majorana stesso (Valore delle leggi statistiche nella fisica e nelle scienze sociali, scritto prima ma pubblicato solo nel 1942 e opportunamente riportato nell’appendice del libro).

Secondo Agamben, scomparendo, quella sera del 1938, senza lasciare tracce, producendo così un evento insieme assolutamente reale e assolutamente improbabile, Majorana avrebbe fatto della sua persona la cifra stessa dello statuto del reale nell’universo probabilistico della fisica contemporanea, ponendo alla scienza una domanda che aspetta ancora la sua inesigibile e, tuttavia, ineludibile risposta: che cos’è reale?

Una spiegazione, dunque, diversa da quella di Sciascia, che Agamben ci offre ripercorrendo brevemente l’evoluzione della fisica nel ‘900, concentrandosi soprattutto sulle conseguenze dei suoi sviluppi, con un’analisi puntuale anche dello scritto di Simone Weil, la quale giunse, sia pure qualche anno più tardi, alla stessa presa di coscienza di Majorana sulla meccanica quantistica. Una presa di coscienza insopportabile anche per Einstein.

Oltre Fermi e Oppenheimer, Majorana sembra instaurare così un discorso metafisico sul carattere probabilistico di tale fisica, in cui il principio di indeterminazione non porta l’uomo a non intervenire e ad arrestare l’itinerario della sua conoscenza, ma anzi ne legittima l’intervento, per dare al movimento di forze una direzione precisa.

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