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Giovedì, 18 Apr 2024

La cura dello sguardo – Nuova farmacia poetica di Franco Arminio, Bompiani Editore, luglio 2020, pp. 203, euro 16,00.

Recensione di Adriana Spera

Molti l’avranno scoperto vedendo le belle trasmissioni di Domenico Iannacone, come Che ci faccio qui, e avranno capito che definire Franco Arminio poeta o paesologo (come si è autoetichettato) è decisamente riduttivo perché è anche scrittore, regista e, soprattutto, uno dei pochi veri filosofi contemporanei.

Come egli stesso ci suggerisce, la sua ricetta per vivere è quella di fare tante cose, e così è: regista di diversi documentari; promotore di battaglie civili come quelle contro la creazione di discariche in Alta Irpinia o la chiusura dell’ospedale del suo paese Bisaccia; animatore del blog “Comunità Provvisorie”; organizzatore del Festival della paesologia “La luna e i calanchi”, ad Aliano (il paese dove Carlo Levi ambientò, chiamandolo Gagliano, Cristo si è fermato ad Eboli, e dove lo scrittore è sepolto); fondatore della “Casa della paesologia” a Trevico, in Irpinia.

Ha vissuto il dramma del terremoto del 1980, che è ancora molto presente nei suoi pensieri.

Ora, con lo scoppio della pandemìa ha scritto La cura dello sguardo – Nuova farmacia poetica, una raccolta di profonde riflessioni. Come egli stesso ci dice: «Ho pensato a questo lavoro come a una farmacia nuova perché sono convinto che il mio disagio sia il filo di una bestia di dolore che riguarda tutti».

La scrittura per Arminio è una cura, «scrivo a oltranza perché ogni giorno c’è un guasto da riparare» e con la pandemìa di guasti da riparare ce ne sono molti.

In MEDICINA COSMICA, ad esempio, ci ricorda che «Un uomo che arriva in ospedale non è un uomo, è un mondo. Curare un essere umano significa curare una persona immersa nel mondo e il mondo che è immerso in lui. Curare un uomo significa prendersi cura del tutto che è in tutti […]Un essere umano non è mai una cosa piccola, la sua malattia è la malattia dell’aria, è un piccolo guasto nel moto degli astri».

In QUANDO NON SCAPPANO, ci descrive così i giorni del lockdown: «Piove sul paese che oggi sembra una prigione: ogni casa una gabbia, ognuno di noi un carcerato. La politica presuppone una società e invece noi oggi siamo soli».

Quindi ci dispensa CONSIGLI PER AMMALARSI POCO: «Non confidare troppo nella medicina: ci sono malattie che sono pericolose solo quando sai di averle. Sappi che i poeti sono più forti dei politici e anche dei mafiosi, ma non lo sanno, non sanno che può vivere solo chi ha le zanne di un animale nella carne». E ne L’ATTRITO, ci ricorda che «La vita delle persone nel tempo che viene dovrebbe partire dall’idea che non siamo una cosa, ma un evento in corso. […]La pandemìa almeno questa cosa dovrebbe avercela insegnata. Dovremmo capire di più e meglio che noi siamo vicende».

La soluzione per contrastare il Covid? «Nessun giorno senza amore: questa ora dovrebbe essere la nostra legge, l’ordinanza più urgente e rispettata». Amore, perché dobbiamo ricordarci che ognuno di noi ha tante crepe accumulatesi nel corso della vita, ognuno di noi è “inagibile”, la condizione umana lo è. E poi occorrono: “la cura dello sguardo”, perché «Chi guarda bene si ammala più difficilmente»; il ricordo; combattere la paura, perché «Le passioni, quelle intime e quelle civili, aumentano le difese immunitarie […]La morte tende ad entrare in gioco quando già le hai spianato la strada in qualche modo. Sapere che la cura, prima che dalla medicina, viene dalla forma che diamo alla nostra vita. Per sfuggire alla dittatura dell’epoca e ai suoi mali bisogna essere attenti, rapidi e leggeri, esatti e plurali»; tornare ad ammirare «una facoltà umana poveramente decaduta. Riconoscere un maestro sembra sminuire i nostri meriti. Chi non ammira non esprime neppure gratitudine, non si scusa quando sbaglia […]Oggi ci siamo accorti che essere cattivi, indifferenti, interessati solo ai fatti nostri è un patrimonio comune, è la garanzia di essere al passo coi tempi»; immaginare perché «non si ama niente senza immaginare»; comprensione; un mondo con più poesia per fare comunità.

Ma non basta occorre la TERAPIA DEL MISTERO «Non sappiamo più guardare, non sappiamo più parlare. E ci sono molte malattie accentuate dalla penuria di parole, di sguardi. La medicina poetica considera l’amicizia, la rivoluzione, la preghiera, la gentilezza, l’ansia stessa come forma di terapia. Perfino la morte e terapia. Se la combattiamo ossessivamente non saremo mai sani. La morte è un mistero scandaloso che richiede pensiero più che rimozione. Il pensiero della morte può essere una forma di guarigione. Perfino la vecchiaia è terapia: pensare in termini ossessivi di rallentarla rende molti corpi falsamente giovanili».

Il virus è come un orologiaio «È venuto per costringerci a mettere le mani dentro noi stessi..- ma - …non è un’occasione che ci renderà migliori».

Il poeta è stato facile profeta perché sembra proprio che nulla sia cambiato, tutto continua come prima dell’arrivo del virus, continuiamo ad inquinare, a distruggere quel paesaggio che per Arminio è un farmaco miracoloso, a sostenere un modello di vita insano e, soprattutto, non siamo affatto diventati migliori, continuiamo ad essere egoisti e arroganti.

Insomma, questo è un libro assolutamente da leggere, è un libro curativo per la sua bellezza, per rasserenarci in questo momento difficile, ma anche per riflettere, perché qui e là emergono i temi cari all’autore: dall’attenzione al paesaggio (memorabili le pagine dedicate alla scellerata ricostruzione a L’Aquila e a Taranto), all’ineludibile ripopolamento del sud, necessario per rilanciare il paese, per finire all’accoglimento degli immigrati indispensabili per le attività che svolgono e per la nostra economia.

Arminio è una voce fuori dal coro di omologati e razzisti che ci assorda ogni giorno.

Adriana Spera
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