I media hanno sempre trattato le donne di scienza con un linguaggio che non avrebbero mai usato per un uomo. Negli anni '60 e '70, in occasione dell'assegnazione del Nobel a due grandi scienziate, la stampa se ne usciva con titoli sconcertanti.
Quando lo ottenne Dorothy Crowfoot-Hodgkin (1910-1994), esperta di cristallografia e premio Nobel per la chimica nel 1964, per le sue scoperte sulla struttura molecolare delle proteine, il titolo del Guardian fu: "Nobel per la chimica a una moglie inglese".
Per Rosalyn Sussman-Yalow (1921-2011), fisica statunitense, premio Nobel per la medicina nel 1977 per le sue scoperte sulle applicazioni della radioattività alla medicina, il commento fu: "Cucina, rassetta e vince il Nobel".
Nel 2020, quando Elisa Borghi, Daniela Carmagnola, Valentina Massa e Claudia Dellavia, ricercatrici all’’Università Statale di Milano, hanno sviluppato un test salivare, non invasivo, per i bambini, la maggior parte della stampa ha titolato: “Covid: da ‘ricercatrici mamme' test salivare per bimbi, affidabile come tampone".
Evidentemente, nell’immaginario comune, si fatica ancora a pensare una donna al di fuori dalle funzioni tradizionali di moglie, madre e casalinga, anche quando ottiene risultati scientifici importanti.
Per approfondire stereotipi e pregiudizi: "Scienziate nel tempo. Più di 100 biografie", Ledizioni, 2020.
Sara Sesti
Matematica, ricercatrice in storia della scienza
Collabora con l'Università delle donne di Milano
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