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- di Roberto Tomei
Ciascun uomo ha a che fare con Demone, Eros, Necessità e Speranza, i volti (o le maschere) che l’avventura ogni volta gli presenta.
“Annie – La felicità è contagiosa”, di Will Gluck, con Quvenzhané Wallis, Jamie Foxx, Rose Byrne, Cameron Diaz, Bobby Cannavale, Adewale Akinnuoye-Agbaje, David Zayas, durata 88’, distribuito dal 1° luglio da Warner Bros. Italia.
Recensione di Luca Marchetti*
Hollywood sa essere, spesso, una macchina ottusa, mossa da meccanismi pedanti e bisogni infantili. Tra l’assurda sete di franchise (cercare sempre la pellicola che ti garantisce almeno cinque sequel) e la difficoltà di trovare e finanziare progetti totalmente originali, s’inserisce anche il triste fenomeno del “remake” ossessivo.
Pensando di dover “rileggere”, con un’ottica contemporanea, ogni pellicola che abbia avuto successo negli ultimi venti anni, le majors si sono prodotte nella realizzazione di rifacimenti, nel migliore dei casi, inutili.
Annie, di Will Gluck, è il frutto ideale di questa deriva. Pellicola nata sfortunata, anche perché vittima innocente di un attacco hacker, che l’ha mandata in rete mesi prima della sua uscita in sala, il musical del bravo regista di Easy Girl è un’opera sbagliata.
Nonostante il coinvolgimento in fase di sceneggiatura dell’autrice/attrice inglese Emma Thompson, artista capace di adattare per il cinema, con classe e sensibilità, opere anche molto complesse, il film paga evidentemente la sua nascita innaturale, da prodotto in serie costruito a tavolino.
Anche l’originale, diretto dal grande John Huston per manifesti motivi economici, era un prodotto strettamente commerciale, concentrato solo al grande incasso. Per la bravura del regista di Chinatown o per il livello più efficiente e serio del cinema commerciale dell’epoca, la favola dal sapore dickensiano dell’orfanella Annie e del suo burbero patrigno Oliver Warbucks (intrepretato da Albert Finney) aveva un suo fascino.
Questa trasposizione, invece, procede per tutta la sua durata con le difficoltà di un film meccanico e scontato, dove ogni cosa deve svolgersi irrimediabilmente in un modo.
Altro enorme limite del film è l’uso miope della protagonista Quvenzhane Wallis. Esplosa con il successo del southern indie drama Re della terra selvaggia, qui la giovanissima attrice diventa il motore inceppato di un film sgonfio, dove il suo caratterino costruito non fa altro che irritare.
Anche lo stuolo di grandi attori nel cast di contorno vive la contraddizione di questa commedia rigida. Soprattutto Cameron Diaz e Jamie Foxx, interpreti capaci di ben altre performance e di grande fantasia scenica, sono in questa occasione relegati in parti asfittiche, buone solo per dare spazio a una giovane protagonista, forse ancora non pronta al grande passo nel cinema mainstream.
Il vero dispiacere, però, è quello di vedere un regista solare e divertente come Will Gluck (ricordiamo anche il suo scanzonato Amici di letto, con Justin Timberlake e Mila Kunis) vittima di un prodotto “finto”, ennesimo fallimento, da produttore, di un Will Smith, che sembra aver perduto la sua capacità di intercettare i gusti del grande pubblico.
critico cinematografico*
"Teneramente folle", di Maya Forbes, con Mark Ruffalo, Zoe Saldana, Keir Dullea, Wallace Wolodarsky, durata 88’, nelle sale dal 18 giugno 2015, distribuito da Good Films.
Recensione di Luca Marchetti*
Molti autori pensano che la propria autobiografia e il proprio vissuto siano materiali narrativi incandescenti, trame cinematografiche imperdibili.
Spesso queste prove di superbia generano pellicole referenziali e noiose, omaggi tronfi di se stessi (esempi di questo genere se ne trovano a decine nel Cinema italiano autoriale degli ultimi venti anni).
Altre volte, anche grazie all’intelligenza di chi scrive e dirige, ci ritroviamo di fronte a piccole opere esplosive, piene di sincerità e candore.
Teneramente folle di Maya Forbes è uno di questi lavori. Presentato con successo all’ultimo Festival di Torino, il film della Forbes si concentra sull’infanzia straordinaria della regista e della sua sorellina, cresciute in una famiglia molto particolare.
Figlie di una coppia mista, nella Boston della fine degli anni 70, le due ragazzine, più che il razzismo o una situazione economica non esaltante, dovranno quotidianamente “lottare” con il loro stravagante e esuberante padre bipolare.
Con una mamma partita, suo malgrado, in cerca di un lavoro decente, Amelia e Faith (i nomi dei protagonisti sono stati cambiati rispetto la realtà), devono crescere all’interno del mondo folle del loro incostante genitore, figura affascinante quanto sfiancante.
A differenza di molte pellicole incentrate sulla malattia mentale, Teneramente Folle ha l’ulteriore pregio di infondere la sua storia di una dolce poesia, capace di raccontare anche i momenti più duri con tenerezza e grazia.
Dotata di un talento narrativo particolare (unito anche al rispetto con il quale parla di una pagina fondamentale della propria vita), Maya Forbes realizza un piccolo film dal grande cuore, dove la scena madre esplosiva o il bieco ricatto emotivo sono sempre evitati.
Meriti della riuscita della pellicola sono da attribuire all’ottimo cast. Oltre alle due splendide giovani attrici protagoniste, Imogene Wolodarsky e Ashley Aufderheide, e alla sempre ottima Zoe Saldana (interprete capace di alternare con classe blockbuster opulenti a piccoli gioielli indipendenti), la parte del leone è fatta da un inarrestabile Mark Ruffalo.
Attore magnifico con un talento unico, Ruffalo piega la sua mitezza fisica e il suo fascino leggermente naif per ogni prova recitativa, infondendo ai propri personaggi una leggerezza talmente unica da essere irresistibile. Il suo Cam Stuart, con i suoi vestiti colorati e i suoi radicali sbalzi d’umore, si rivela personaggio avvolgente, il papà perfetto per due bambine eccezionali.
*critico cinematografico
Per i tipi di Lìbrati, una vivace casa editrice ascolana, è uscito alcuni mesi fa, a firma di Luca Marcolini, noto giornalista locale, un simpatico volumetto, intitolato Borgo Turrito, dedicato alla provincia italiana, di cui si intendono svelare, come recita il sottotitolo, “verità nascoste, vizi, virtù e peccati”.
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