Finale di partito di Marco Revelli, editore Einaudi, Milano, 2013, pp. 137, euro 10.
Recensione di Roberto Tomei
Per chi aspiri a comprendere il proprio tempo, non c’è niente di peggio che vivere in una fase di transizione epocale, dato che, quando salta il paradigma entro il quale si cresce, non è facile raccapezzarsi, capire dove si va e riuscire a orientarsi.
Torna utile, in questi frangenti, affidarsi alla riflessione di chi ha lo sguardo più lungo e sa darci delle spiegazioni, che è poi il compito dei veri intellettuali. Tra questi va incluso, senza ombra di dubbio, Marco Revelli, tra i più acuti e brillanti politologi del nostro tempo.
Di fronte alla crisi dei partiti, che pare ormai inarrestabile, tanto a destra quanto a sinistra dello schieramento politico, la domanda che tutti si fanno è “se sia possibile una democrazia rappresentativa senza partiti”.
Per gli uomini d’apparato e per chi vive nei dintorni dei partiti, la risposta perentoria è che non può esserci democrazia senza partiti. La realtà mostra che non è così, visto che - argomenta Revelli - la democrazia dei moderni si è definita ben prima che il “partito di massa” diventasse “il monopolista quasi esclusivo del processo di partecipazione e di rappresentanza”, onde questa ben può sopravvivere alla fine “di quel monopolio e di quella centralità, rinnovandosi nei contenuti e nella procedura”.
Il “partito”, per come l’abbiamo conosciuto, aveva sostituito il precedente rapporto “fiduciario” tra rappresentanti e rappresentati (tipico del “governo dei notabili”) con un più stringente rapporto di identificazione, sicché i cittadini non votavano più per qualcuno che conoscevano personalmente, ma per qualcuno che portava i colori di un partito. Ma tutto questo era stato possibile in virtù di uno schema adeguato a una società stabilmente strutturata in classi sociali e in gruppi definiti dal proprio ruolo, portatori di orientamenti organici alla propria appartenenza sociale e destinati a trovare corrispondenza in termini di rappresentanza.
Ora, saremmo in presenza di una nuova “metamorfosi politica”, in quanto la “democrazia del pubblico” va sostituendo la “democrazia di partito”. In questo contesto un ruolo determinante è giocato dal sistema dei media, che favorisce una ripersonalizzazione della scelta elettorale mediante un processo artificiale di costruzione dell’immagine.
Venuto meno il monopolio del partito novecentesco sullo spazio pubblico, questo è ora occupato da un triangolo che comprende il potere mediatico, il potere economico-finanziario ( c.d. poteri forti) e i movimenti (il nuovo popolo che “rivendica spazi crescenti di autodeterminazione e seleziona attentamente i livelli di delega”).
Il futuro della nostra fragile democrazia dipende ormai soltanto da come questi fattori si combineranno tra loro.