di Flavia Scotti
Con sentenza n. 19760 del 8 maggio 2013, la sesta sezione penale della Cassazione ha stabilito che deve essere escluso il reato di maltrattamenti in famiglia perpetrati dal dirigente a danno di una lavoratrice in quanto il rapporto tra datore di lavoro e dipendente di una grande azienda non può essere ricondotto a quello para-familiare, previsto dall’art. 572 del codice penale.
I Giudici della Suprema Corte hanno ritenuto corretta l’impostazione data dalla Corte di Appello, la quale aveva precisato come le relazioni interne ad una sede locale di una grande azienda (nel caso specifico, l’Enel) non possono essere ricondotte al rapporto tra datore di lavoro e dipendente, in quanto la sede locale è, comunque, inserita in un’azienda complessa e di grandi dimensioni.
Il legislatore, infatti, con legge n. 172/2012, ha modificato il testo dell’art. 572 del codice penale, estendendo il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi a chiunque vessi una persona sottoposta alla sua autorità anche per l’esercizio di una professione o di un’arte.
Per chi subisce soprusi o mobbing sul posto di lavoro, dunque, se l’ente, per le sue dimensioni, non è assimilabile a un’azienda a carattere familiare, l’unica via da perseguire è quella civile.