In tema di licenziamento per giusta causa, la condotta del lavoratore, che, in ottemperanza delle prescrizioni del medico curante, si sia allontanato dalla propria abitazione e abbia ripreso a compiere attività della vita privata - la cui gravosità non è comparabile a quella di una attività lavorativa piena - senza svolgere una ulteriore attività lavorativa, non è idonea a configurare un inadempimento ai danni dell’interesse del datore di lavoro.
Devesi ritenere, invece, che l’espletamento di altra attività, lavorativa ed extralavorativa, da parte del lavoratore durante lo stato di malattia, è idoneo a violare i doveri contrattuali di correttezza e buona fede nell’adempimento dell’obbligazione e a giustificare il recesso del datore di lavoro, laddove si riscontri che l’attività espletata costituisca indice di una scarsa attenzione del lavoratore stesso alla propria salute ed ai relativi doveri di cura e di non ritardata guarigione, oltre ad essere dimostrativa dell’inidoneità dello stato di malattia ad impedire, comunque, l’espletamento di un’attività ludica o lavorativa.
Quanto sopra emerge dalla sentenza della Corte di Cassazione - Sezione Lavoro - n. 1173/2018, pubblicata il 18 gennaio 2018, che ha rigettato il ricorso proposto da un datore di lavoro, già soccombente sia in primo grado che in appello, che aveva licenziato un proprio dipendente il quale, durante l’assenza dal lavoro per malattia a causa di un malanno al ginocchio, aveva svolto una modesta attività fisica, recandosi anche al mare, senza disattendere le prescrizioni impartitegli dal suo medico curante e senza che la stessa attività si ponesse in contrasto con la guarigione, come peraltro confermato dal Consulente tecnico d’ufficio, nominato dal Tribunale.
Spetta, dunque, al datore di lavoro provare che il comportamento tenuto dal dipendente sia stato tale da ritardarne la guarigione.