Thelma di Joachim Trier, con Eili Harboe, Okay Kaya, Ellen Dorrit Dorrit Petersen, Henrik Rafaelsen, durata 116’, nelle sale dal 21 giugno 2018, distribuito da Teodora Film.
Recensione di Luca Marchetti
Dopo il successo presso la critica internazionale dei suoi primi due film, soprattutto lo splendido Oslo, August 31st, intorno alla carriera del giovane Joachim Trier s’era creato un sincero entusiasmo, sia tra cinefili che tra gli addetti ai lavori. Sembrava che, finalmente uscito dall’ombra ingombrante dei “venerati maestri” Refn e Von Trier, sganciatosi dai pesanti legacci del genere Giallo, il Cinema scandinavo avesse un altro perfetto alfiere al quale affidare le sue sorti. Purtroppo, come già avevamo segnalato in una nostra recensione, il suo inevitabile esordio nel cinema anglofono (il dimenticabile Segreti di Famiglia) era stato un fragoroso passo falso.
Forse scottato dalla delusione, forse convinto di ritrovare la sua cifra attraverso un salutare ritorno a casa, Trier decide di raccontare la sua Norvegia con una storia che, furbamente, abbina dramma sociale a fantascienza realistica. Quest’ultima, negli anni recenti, è diventata un tema decisamente abusato, saccheggiato da registi, con pretese autoriali, troppo “snob” per dedicarsi totalmente alla spettacolarità del genere ma anche troppo disonesti (intellettualmente) per vendere i propri piccoli film per quello che sono, senza pretese trans-genere postmoderne.
Trier, a differenza dei suoi ipocriti colleghi, riesce a sfuggire da queste trappole rischiose, confezionando un’opera che si tiene perfetta, dove ogni elemento narrativo e visivo ha un peso specifico e necessario.
Il film racconta la storia di una ragazza che, arrivata all’università per studiare Biologia e scappare dal suo nucleo familiare ultra-protettivo, s’imbatte nella solare e vitale Anja, che la introduce ai sacrosanti piaceri della gioventù. Un ballo, una bevuta di troppo, un bacio, tutto per Thelma è una nuova eccitante scoperta e il film segue con passione la sua (ri)nascita, lontana dai genitori bigotti e oppressivi, basata completamente su questo amore travolgente (come tutti i primi amori) verso la sua amica-salvatrice.
Thelma, nonostante sia ostentatamente mostrato come una storia glaciale, un racconto dove fenomeni inspiegabili e un pesante sottotesto claustrofobico mantengono sempre un livello di minaccia costante, è prima di tutto il coming of age di una povera ragazza, segnata dal dolore, che inizia a vivere.
Certo, il riferimento letterario e cinematografico più facile da riconoscere è quello di Carrie, il film di Brian De Palma tratto dal romanzo di Stephen King (e, infatti, in giro non si trova una recensione che non lo citi) ma il lavoro di Trier va ben oltre il semplice omaggio cinefilo, anche se è innegabile che il regista norvegese e il suo co-sceneggiatore Eskil Vogt qualche occhiata al film con Sissy Spacek l’abbiano data durante la lavorazione di Thelma.
Il film, infatti, va oltre i generi e le etichette (diffidate da chi vi parlerà di lesbo-dramma, definizione già di per sé fuorviante e sciatta) e si dimostra la storia di un delirio ormonale che, piuttosto che da lettere d’amore e da sguardi sospesi, è fatto da incubi e immagini spettrali.
Al di là di qualsiasi metafora psicologica che, però, non ci arrischiamo a fare, Thelma è solo la storia di una ragazza che fa tutto quello che è in suo potere, pur di vivere.
Critico cinematografico