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Venerdì, 19 Apr 2024

Da tempo si sente parlare di un’ondata di caldo in Groenlandia con piogge e fusione di ghiacci in inverno. In Antartide due ghiacciai, detti dell’Apocalisse, ognuno grande più o meno come la Francia, fanno da argine a gran parte della calotta polare antartica. Costituiscono una tale quantità di ghiaccio che, se riversata negli oceani, alzerebbe di almeno 3 metri il livello del mare e sommergerebbe tutte le città costiere del Pianeta. Si sta cercando di stabilire la velocità e le modalità con cui eventualmente i due ghiacciai collasseranno. Per questo si sono ripercorse tutte le ere geologiche con particolare attenzione alla parte conclusiva dell’ultima era glaciale, quando le temperature globali si attestarono più o meno ai livelli attuali. Si è scoperto che, proprio come sta avvenendo in questi giorni, circa 11.000 anni fa i ghiacciai dell’Apocalisse crollarono improvvisamente allagando le coste del mondo.

Il fatto è preoccupante, tanto che, nel 2015, l’amministrazione Obama con il governo inglese ha pianificato un programma di ricerca urgente sull’argomento dal nome emblematico, “How much, how fast?”. Gli studi sul campo dovrebbero iniziare nel 2018 e durare circa cinque anni.

Attualmente sulla Terra siamo 7 miliardi e 600mila. L’ONU stima che nel 2050 gli abitanti saranno quasi 10 miliardi. Tutta gente che mangia, si veste, si riscalda, viaggia, svolge attività complesse ... Per far tutto questo attinge alle risorse della ricchissima Madre Terra, generosa con i suoi abitanti. Ma la Terra è limitata e disinteressata alla nostra presenza e allora dobbiamo preoccuparci. Dobbiamo capire come funziona l’ambiente favorevole alla nostra presenza se vogliamo ritardare l’estinzione della razza umana.

La Terra è un sistema unico e indivisibile in tutte le sue manifestazioni. I grandi terremoti, i moti dell’atmosfera e lo scioglimento delle calotte glaciali consistono in spostamenti di grandi masse e, quindi, influiscono sull'asse di rotazione della Terra e sulla lunghezza del giorno.

Le grandi eruzioni vulcaniche immettono grandi quantità di aerosol nella stratosfera producendo variazioni importanti della temperatura media alla superficie terrestre con effetti sul clima globale.

Una corrente d'acqua calda, denominata EI Niño, che si forma nell'Oceano Pacifico, se accompagnata da particolari condizioni meteorologiche, è in grado di provocare una vasta perturbazione climatica, con conseguenze sulla distribuzione della fauna ittica e sul regime delle precipitazioni.

Lo studio degli altri pianeti del Sistema solare, con l’invio di sonde spaziali, ha mostrato l’unicità della Terra anche rispetto ai pianeti ad essa più simili per dimensioni e distanza dal Sole. La differenza più evidente è il fatto che sulla Terra sono esistite creature viventi per più di tre miliardi di anni e che tali creature si sono evolute dai semplici organismi unicellulari alla mirabile diversità delle forme di vita complesse che possiamo osservare oggi.

Poiché l'acqua è essenziale per il metabolismo e la riproduzione degli esseri viventi, la sopravvivenza e l'evoluzione della vita sulla Terra rappresentano un’evidenza convincente del fatto che il nostro pianeta ha sempre goduto di una temperatura alla quale l'acqua presente sulla sua superficie è potuta rimanere in gran parte allo stato liquido.

Se gli oceani non fossero presenti, molte delle caratteristiche che hanno reso la Terra unica nel suo genere, consentendo la nascita della vita e la sua evoluzione, non potrebbero esistere. Ad esempio, la presenza nell'atmosfera terrestre di una quantità relativamente modesta di anidride carbonica deriva dalla circostanza che quasi tutta l'anidride carbonica, prodottasi durante l'esistenza del pianeta, è stata inglobata nei sedimenti oceanici sotto forma di calcare o come carbonio di origine organica prodotto per fotosintesi a partire dall'anidride carbonica atmosferica.

In questo modo, la Terra ha potuto evitare un effetto serra cumulativo che l'avrebbe resa molto simile a Venere.

La presenza di ossigeno libero sarebbe impossibile se il carbonio organico prodotto per fotosintesi non fosse stato bloccato nei sedimenti oceanici, lasciando l'ossigeno nell'atmosfera. A sua volta, l'ossigeno è essenziale per l'esistenza dello strato di ozono nella stratosfera, senza il quale mancherebbe lo schermo alla radiazione ultravioletta e la vita sarebbe impossibile.

Infine, la maggior parte degli animali terrestri o marini non esisterebbe se non fosse per il vigoroso metabolismo consentito dalla presenza dell'ossigeno nell'atmosfera. Inoltre, l'acqua allo stato liquido, agendo insieme all'anidride carbonica, trasforma le rocce in argille e in altre sostanze solubili che contengono gli elementi nutritivi essenziali per le piante.

Lo svolgimento di questi processi deve essere in qualche modo controllato da altri processi fisici meno evidenti, altrimenti la vita non potrebbe sussistere. Ad esempio, l'ossigeno è una necessità per la vita animale in quantità moderate, ma in concentrazioni elevate risulterebbe tossico. Se l'ossigeno continuasse ad accumularsi nell'atmosfera, incendi ed altri tipi di rapida ossidazione distruggerebbero gli esseri viventi. Se la materia organica continuasse ad accumularsi nei sedimenti marini profondi, tutti i materiali nutritivi prodotti dalla degradazione del suolo tornerebbero alla fine in forma insolubile e le piante scomparirebbero. Analogamente, se i sedimenti calcarei continuassero ad accumularsi negli oceani senza un afflusso compensatore di anidride carbonica proveniente dalle dorsali oceaniche e da altri vulcani, la concentrazione dell'anidride carbonica atmosferica potrebbe diventare così bassa da rendere impossibile la fotosintesi.

Si arriva così al processo fondamentale che avviene sulla Terra, la tettonica a placche, cioè il continuo rimescolamento all'interno della Terra dei materiali che costituiscono la superficie del pianeta e la loro riapparizione lungo le dorsali oceaniche e nei vulcani. Questo processo di rinnovamento geologico, che forse esiste solo sulla Terra, è essenziale per la persistenza dell'ambiente favorevole alla nascita e all’evoluzione della vita.

I movimenti che hanno luogo nelle profondità della Terra sono all'origine del moto delle placche. I moti di metalli fusi nel nucleo esterno generano il campo magnetico che scherma parzialmente il pianeta dall’ambiente ostile dello spazio: il bombardamento dei raggi cosmici.

All’ambiente favorevole alla nostra sopravvivenza contribuisce anche la posizione astronomica della Terra e le sue dimensioni. Se il nostro pianeta fosse più piccolo, non avrebbe potuto trattenere un'atmosfera. Se fosse più vicino al Sole, gli oceani entrerebbero in ebollizione mentre, se fosse più lontano, si congelerebbero. Se la sua orbita e l'inclinazione del suo asse di rotazione non fossero soggette a lente fluttuazioni, le variazioni climatiche che hanno innescato i mutamenti evolutivi non potrebbero esistere. Se il Sole fosse più grande, non sarebbe vissuto abbastanza a lungo da permettere alla vita di evolversi fino a forme avanzate. Se il Sole fosse una stella binaria, sarebbe stato impossibile per la Terra possedere un'orbita stabile con condizioni uniformi.

Tuttavia, al di là della situazione astronomica, è l’attività interna della Terra che ha determinato la sua storia e la nostra. Uno degli obiettivi primari della geofisica oggi è proprio quello di comprendere i processi che avvengono all'interno della Terra, una sfera di seimila chilometri di raggio che rimane una delle parti meno conosciute dell’universo.

Numerose sono le domande che ancora non hanno una risposta definitiva. Perché la tettonica a placche esiste sulla Terra, ma non su Venere, che ha dimensioni e composizione simili? Quali sono le caratteristiche della Terra che rendono possibile il moto di convezione delle rocce che costituiscono il Mantello? Qual è la natura di questi moti convettivi e come varia nel tempo la loro velocità? E ancora: quali sono gli effetti alla superficie terrestre delle variazioni della velocità di convezione, anche in riferimento alla concentrazione di anidride carbonica nell'atmosfera e dunque al clima e alla vita stessa? E quali sono gli effetti delle variazioni del campo magnetico?

La relazione più affascinante che ci si rivela è quella tra la tettonica a placche e la vita, evidenziata dalla scoperta dell'esistenza di complessi ecosistemi di pesci, invertebrati e batteri in prossimità delle bocche eruttive sottomarine situate lungo le dorsali oceaniche.

Un altro problema riguarda la risposta della Terra alle collisioni con asteroidi e comete che avvengono periodicamente, anche se a intervalli di tempo molto lunghi rispetto alla durata della vita umana. Tali collisioni hanno influito notevolmente sull'evoluzione delle forme viventi, provocando estinzioni di massa e stimolando la rapida evoluzione di nuove specie.

La Crosta terrestre è la superficie di separazione tra le rapide variazioni che caratterizzano gli strati esterni fluidi (idrosfera e atmosfera) e i lenti movimenti interni. Si è già detto che il Mantello si trova in uno stato di convezione. Il Nucleo esterno, allo stato liquido, è accoppiato al Mantello e sede anch'esso di un moto di convezione, evidenziato dalle variazioni secolari del campo magnetico terrestre. Lo studio della composizione, della struttura e della dinamica della Crosta e dell'interno della Terra, tende a ricostruire e comprendere i processi che hanno determinato l'evoluzione del nostro pianeta dallo stato iniziale, alcuni miliardi di anni fa, a quello presente.

Si cerca di giungere alla comprensione della struttura, della dinamica e della chimica dell'atmosfera e dell'idrosfera e la loro interazione con la Terra solida. Ci sono stati progressi nella comprensione del bilancio energetico del pianeta, anche se non sono sufficienti a prevedere le variazioni climatiche. La strada da seguire resta quella di un’osservazione sistematica della superficie terrestre per individuare le linee di tendenza di fenomeni quali la tettonica, l'erosione del suolo, la geomorfologia, lo sviluppo della vegetazione, i processi idrologici. Allo stesso tempo, occorre il rilevamento globale delle proprietà atmosferiche e oceaniche per porre su basi quantitative sempre più certe le interazioni fra atmosfera e oceani.

La biosfera controlla il contenuto di ossigeno nell'atmosfera e numerosi altri fattori. I complessi equilibri che regolano gli ecosistemi e la loro evoluzione devono essere capiti in relazione all’ambiente fisico. Fattori come il clima, il moto delle placche tettoniche o l’impatto di asteroidi e le grandi eruzioni vulcaniche hanno, infatti, una grande influenza sull'evoluzione biologica. Anche in questo caso si tratta di caratterizzare l'interazione degli organismi viventi con l'ambiente fisico, in particolare i loro effetti sulla composizione, la dinamica e l'evoluzione della Crosta, degli oceani e dell’atmosfera.

Della biosfera fa parte l'uomo. Gli effetti sull'ambiente naturale dell'aumento della popolazione, dello sviluppo agricolo e industriale e del crescente consumo di energia hanno grande rilevanza scientifica oltre ad essere di immenso interesse pratico. Le attività umane modificano la composizione dell'atmosfera, sia per quanto riguarda gas come l'anidride carbonica e il metano, sia per quanto riguarda le polveri e gli aerosol in genere. L'aumento di popolazione nei paesi in via di sviluppo è accompagnato dall'urbanizzazione e dalla desertificazione di ampi territori. Il depauperamento delle foreste tropicali influisce sulle mutazioni climatiche e genetiche.

L'evoluzione del tempo meteorologico avviene su una scala temporale di giomi, ma lo stato generale dell'atmosfera è regolato dagli oceani, che hanno tempi di circolazione nell'ordine degli anni. Entrambi i sistemi sono fortemente influenzati dalla biosfera, che può subire variazioni osservabili dallo spazio su scale di tempo da pochi giorni in su. L'influenza del Sole ha un ciclo principale di undici anni, ma vi sono variazioni molto più lente, su scale di secoli e millenni. La porzione della superficie terrestre coperta di ghiaccio, la criosfera, ha subito una progressiva riduzione a partire da circa diecimila anni fa, al termine dell’ultima glaciazione.

I dati geologici indicano un ciclo di circa centomila anni per i successivi episodi di glaciazione e deglaciazione, ma vi sono oscillazioni di durata molto più breve, da alcune centinaia ad alcune migliaia di anni. Questa grande varietà di processi, che operano su differenti scale temporali, determina una molteplicità di interazioni tra componenti del nostro pianeta che precedentemente erano state considerate separate.

Per raggiungere l'obiettivo di comprendere completamente la molteplicità di interazioni che avvengono sopra e dentro il nostro pianeta, ci si serve di una strategia di osservazione, gestione e analisi dei dati sempre più complessa. E' sempre più evidente la necessità di comprendere il funzionamento del pianeta Terra come un tutto unico. Le osservabili spaziano dai fenomeni quasi statici (come la petrologia, i regimi di vegetazione, il campo magnetico) ai fenomeni dinamici (come la formazione delle nubi, le precipitazioni, la salinità degli oceani, le calotte glaciali, le eruzioni vulcaniche e i terremoti).

La maggior parte delle misure geofisiche richiedono completezza e simultaneità: solo così, ad esempio, si può studiare la deformazione di un edificio vulcanico, la sua successiva eruzione, la diffusione delle ceneri vulcaniche nell’atmosfera e le conseguenze sul clima globale e di questo sul suolo.

Il sistema di osservazione deve essere caratterizzato dalla continuità e dalla omogeneità delle misurazioni su periodi di tempo lunghi. L’enorme quantità di dati da trattare richiede una grande capacità dei sistemi di raccolta e di elaborazione dei dati stessi. È implicito un elevato livello di integrazione tra la fase della raccolta dei dati di osservazione e la fase della formulazione dei modelli teorici: un’integrazione siffatta è possibile solo tramite un intenso scambio di informazioni su scala mondiale tra tutti i ricercatori coinvolti nello studio della Terra. Il pianeta diventa così un unico laboratorio e i fenomeni geofisici possono essere seguiti in tutta la loro evoluzione: lo scopo ultimo è riprodurli tramite modelli matematici per comprenderne il meccanismo.

Un capitolo importante della moderna Geofisica riguarda gli eventi naturali violenti: terremoti, maremoti, eruzioni vulcaniche, uragani, tornado, inondazioni, frane, valanghe e altri ancora. L’eventualità che uno di questi eventi si produca in una certa area della superficie terrestre comporta l'esistenza di un rischio al quale sono sottoposte le popolazioni che vi risiedono. Due sono i fattori che concorrono ad esprimere il concetto di rischio relativamente a un dato evento: la probabilità che l'evento si produca e l’entità delle conseguenze.

L'osservazione dei fenomeni mostra che gli eventi con conseguenze gravi sono rari, mentre assai più frequenti sono gli eventi con conseguenze limitate. Tuttavia, la rarità di un evento non equivale a un rischio basso. Ad esempio, la probabilità che un asteroide del diametro di qualche chilometro colpisca la Terra è molto piccola, ma le conseguenze dell'impatto sarebbero talmente gravi da rendere non trascurabile l’entità del rischio e da spingerci a preoccuparcene. Per questo genere di eventi, potenzialmente distruttivi e di grande impatto sociale, si impone più che per altri la necessità di giungere a prevederne l'occorrenza e le modalità di svolgimento. In linea di principio, la possibilità di prevedere un fenomeno è un corollario di una teoria fisica che descriva con sufficiente dettaglio il sistema in cui tale fenomeno può aver luogo.

Duemilacinquecento anni fa, gli astronomi babilonesi possedevano già le conoscenze necessarie per prevedere le eclissi. Sapevano che le eclissi di Sole e di Luna si producono in particolari condizioni ed erano in grado di calcolare con buona precisione i momenti in cui esse avvenivano. Ciò è dovuto al fatto che pianeti e satelliti si comportano nel loro moto con relativa semplicità: un modello che descriva un moto su orbite circolari con velocità costante porta già a risultati discreti per quanto riguarda la previsione delle eclissi.

Non avviene lo stesso per i fenomeni geofisici caratterizzati da una grande complessità. Tra l'altro, la sorgente di molti di questi fenomeni è inaccessibile, all'interno della Terra. La previsione è il risultato dell'inserimento di dati di osservazione in un modello. Questi dati rappresentano i valori numerici delle grandezze fisiche che compaiono nella teoria, comprese le condizioni iniziali del sistema studiato. Quando un sistema fisico è governato da leggi non lineari, una piccola imprecisione nelle condizioni iniziali può alterare completamente l'evoluzione del sistema: è questo il caso della meccanica dei fluidi applicata alla previsione meteorologica e della meccanica delle fratture applicata allo studio dei terremoti. Tale comportamento, chiamato caotico, preclude la possibilità di previsioni deterministiche: sono possibili solo previsioni di tipo probabilistico.

Un significativo avanzamento della nostra comprensione degli eventi geofisici e della nostra capacità di prevederli potrà venire solo da osservazioni sistematiche e a lungo termine dei fenomeni che avvengono sopra e dentro il nostro pianeta. Ciò è vero non soltanto per i fenomeni più rapidi e apparentemente improvvisi, quali i terremoti e le eruzioni vulcaniche, dai quali con adeguate misure preventive è possibile difendersi. Un grande sforzo scientifico, invece, deve essere compiuto per quei fenomeni che si realizzano su scale temporali lunghe, se vogliamo essere in grado di prevedere l’evoluzione dei mutamenti che sono in atto, che siano il risultato dell'attività umana o fluttuazioni naturali che nel passato non erano state documentate o semplicemente non riconosciute.

Ogni anno viene organizzato un incontro fra tutti i Paesi del mondo sperando, ogni volta, di trovare una qualche soluzione. Quest’anno l’incontro è avvenuto a Bonn per la ventitreesima volta, ma tutto o quasi è stato rimandato all’anno prossimo, a Katowice, in Polonia.

Nel frattempo, non ci resta che affidarci alla clemenza della Madre Terra e farle tanti auguri per il 2018.

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Geofisico dell’Accademia dei Lincei

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