La scorsa settimana abbiano dato notizia del commissariamento di un importante ente di ricerca, l’Enea, che si protrae da sette anni.
Se la figura del commissario è prevista dalla legge, che però la contempla come qualcosa di eccezionale e, soprattutto, di temporaneo, nell’ordinamento giuridico non v’è traccia della possibilità che vi sia un ente pubblico con un presidente pleno jure, senza il consiglio di amministrazione, perché uscito di scena quasi un anno fa, per fine mandato.
L’ente in questione è l’Istat, che certamente non è di rango inferiore all’Enea, per cui la sconcertante anomalia si doveva evitare o, quantomeno, andava sanata in breve tempo.
Macché.
La questione, già sollevata dal Foglietto con un articolo del 16 giugno scorso, non sembra interessare il presidente del Consiglio in carica, al quale – giusta il disposto dell’art. 4, comma 2, lett. c) del Dpr n. 166/2010 – spetta la nomina di due dei quattro componenti del consesso, mentre i restanti due sarebbero stati già da tempo individuati all’interno del Comitato di indirizzo e coordinamento dell’informazione statistica (Comstat) e diligentemente comunicati a Palazzo Chigi.
Ma perché, sono in tanti a chiedersi, il premier Renzi, decisionista, rottamatore e modernizzatore per antonomasia, sull’Istat fa di tutto per apparire un posapiano?
C’è chi dice che il presidente Giorgio Alleva non sappia più a quale santo votarsi, perché da mesi vorrebbe varare il provvedimento di riorganizzazione dell’ente che, come egli stesso ha annunciato il 10 giugno scorso, è stato messo a punto da un team di modernizzatori “che ha completato il disegno del ‘modello a tendere’ dell’Istituto” (sic!).
Per come sono andate le cose, qui c'e' solo da “tendere” a convincere Renzi a battere un colpo. Anzi due, quanti sono i membri che deve nominare. Per uno come lui, che “tende” a cambiare la Costituzione, assecondare il percorso di un “modello a tendere” dovrebbe essere un gioco da ragazzi.