L’Università di Trieste decide di conferire un incarico di insegnamento (60 ore in diritto amministrativo in un anno accademico).
In concreto, una cosa di ordinaria amministrazione, che non dovrebbe creare problemi. Viceversa, tutto si complica terribilmente, col risultato che i dissidi interni alla commissione giudicatrice riescono ad attribuire alla vicenda toni surreali, mettendo capo a un intrico che alla fine è toccato al giudice amministrativo sbrogliare, dichiarando l’illegittimità della procedura (Tar Friuli Venezia Giulia, Trieste, sez. I, 22 aprile 2016, n. 150).
Questi gli incredibili fatti derivati dalla "abdicazione” di una commissione.
“Per l’unico incomprensibile e irragionevole motivo che non vi era stata la possibilità di esprimersi unanimemente”, circostanza peraltro non richiesta dalla legge, atteso che eventuali dissensi interni avrebbero dovuto trovare la loro composizione nell’espressione della volontà collegiale, i componenti della commissione preposta alla valutazione comparativa dei candidati hanno inopinatamente deciso di rendere note all’esterno le loro soggettive prese di posizione e le valutazioni individualmente espresse nei confronti dei candidati.
Detto fatto. Il verbale della commissione e, per non far mancare proprio niente, anche i curricula dei candidati vengono inviati dalla commissione a tutti i membri del Consiglio del Dipartimento di Studi Umanistici “in composizione ordinaria” (che vuol dire un organo di 111, dicasi centoundici, membri) che, pur non essendo competente, decide di prendersi a cuore la storia, sino al punto di escogitare una soluzione, trovata – “allineandosi, evidentemente, alle stravaganze della commissione” - coniando la regola, “altrettanto singolare e bizzarra”, della rilevanza del giudizio espresso in maniera prevalente dalla maggioranza dei commissari.
Quando tutti (questa volta è proprio il caso di dirlo, visto il numero dei membri del predetto organo) erano convinti di aver chiuso il caso, il ricorrente, venuto a conoscenza, in seguito ad accesso documentale, dell’esito (per lui) infausto della selezione, si è subito attivato per chiedere l’annullamento in autotutela della deliberazione del Consiglio, riuscendo persino a ottenerne dal Direttore del Dipartimento la sospensione interinale dell’efficacia.
Ma il Direttore non si è fermato qui: da un lato, ha deciso di dar corso a un approfondimento istruttorio “ancora alquanto singolare”, disponendo, tra l’altro, l’acquisizione di precisazioni a chiarimento dai commissari, da questi poi fornite ma delle quali, come rilevato dal Tar, non v’è traccia nell’unico verbale “ufficiale” dei lavori della commissione; dall’altro, ha aperto la strada all’immotivata avocazione in capo a un organo di ben 111 membri, di svariata formazione e provenienza, di valutazioni squisitamente tecnico-discrezionali spettanti alla originaria commissione “tecnica”, composta da un numero ridotto di componenti, in quanto maggiormente funzionale al proficuo e sollecito svolgimento dei compiti assegnatigli.
Dulcis in fundo, il tutto è stato “condito”, a selezione aperta, a domande già pervenute e a titoli già conosciuti e “apprezzati” dallo stesso Dipartimento, dall’introduzione ex post di nuovi criteri valutativi, in totale spregio ai più elementari principi di diritto. La vittoriosa carica dei 111, che in così tanti chissà dove si riunivano per deliberare, finisce qui.
Dalla nostra specola ne abbiamo viste tante, ma questa storia, a suo modo avvincente, ci ha proprio sbalordito. Sarà pur vero che, di fronte alle difficoltà, le soluzioni sono tante quante la mente umana è in grado di concepire, ma stavolta hanno veramente esagerato. Ce ne vuole, infatti, per realizzare una siffatta sequenza di “anomalie”. Che al Tar non sono proprio piaciute, tanto che ha deciso la trasmissione della sentenza alle Procure della Repubblica e della Corte dei Conti, per le valutazioni di rispettiva competenza.