Con sentenza 3 gennaio 2017, n.1, il Tar Friuli Venezia Giulia ha accolto il ricorso presentato dal candidato classificatosi al secondo posto della graduatoria di merito del concorso per l’attribuzione di un assegno di durata triennale, per lo svolgimento di attività di ricerca, tipologia Grandi carnivori e attività antropiche, nel settore scientifico disciplinare AGR/19.
In particolare, il Tar ha riconosciuto irragionevole, attesa l’ontologica diversità che esiste tra le due “esperienze”, la previsione di apprezzare nell’ambito della voce valutativa “esperienze di ricerca e di formazione post-laurea di durata non inferiore a tre anni”, il dottorato di ricerca e le borse di ricerca, stante che l’ammissione al dottorato avviene con procedura concorsuale e che, per ottenere il titolo di dottore di ricerca, il dottorando deve elaborare una tesi originale di ricerca e discuterla in sede di esame finale di tesi innanzi a una commissione qualificata.
Ma, oltre a ciò, si è appalesata macroscopicamente viziata, secondo i giudici amministrativi, anche la valutazione effettuata in concreto delle rispettive esperienze dei candidati, laddove la commissione ha diversificato di soli due punti il dottorato di ricerca del ricorrente rispetto alla borsa di studio della vincitrice del concorso, tra l’altro ottenuta da un ente, la Regione, che non è una istituzione accademica.
In ossequio a una ormai consolidata giurisprudenza amministrativa, analogamente fondata è stata, inoltre, riconosciuta la censura avanzata dal ricorrente che lamentava “l’inquinamento” valutativo della procedura, laddove il Presidente della commissione è risultato coautore di 5 delle 9 pubblicazioni presentate dalla vincitrice, dato che il medesimo ha partecipato ai lavori, omettendo di astenersi dalla valutazione della candidata. L’intensità della collaborazione scientifica tra i due, insomma, è apparsa “di per sé ostativa all’espressione da parte del presidente di un giudizio oggettivo e imparziale, essendo assai difficile per quest’ultimo non esprimere valutazioni più che positive dei lavori per la cui realizzazione ha offerto il proprio contributo scientifico”.
Da tutto ciò i giudici hanno fatto conseguire “l’obbligo per l’amministrazione di rieditare la procedura concorsuale dal punto e nelle parti tutte in cui è stata incisa dai vizi accertati, tenendo conto delle regole di diritto ritraibili dalla sentenza”.
Difficile non concordare con gli esiti di questa sentenza. Semmai c’è da meravigliarsi per l’operato della commissione, che, oltre ad aver assimilato esperienze così diverse come il dottorato di ricerca e la borsa di studio, le ha pure valutate in modo assai improbabile.
Ma ancor più stupisce l’ignoranza, da parte della commissione medesima, delle inevitabili negative conseguenze cui mette capo la “collaborazione scientifica”, per troppo tempo tollerata ma ormai sempre censurata dai giudici, tra un componente della commissione (nel caso di specie, addirittura il presidente) e un candidato.