Con sentenza n. 21649, pubblicata il 26 ottobre 2016, la Corte di Cassazione ha confermato l’illegittimità del licenziamento di un lavoratore dipendente che aveva mosso critiche al suo superiore gerarchico.
In primo grado, invece, il Tribunale aveva dato ragione al datore di lavoro, respingendo il ricorso del dipendente che aveva dovuto ricorrere in appello, dove erano state accolte le sue ragioni.
Da lì, il ricorso in Cassazione del datore di lavoro.
Nel confermare la decisione assunta dalla Corte di Appello, gli Ermellini hanno sottolineato che “per insegnamento consolidato della Suprema Corte, è noto che, in tema di esercizio del diritto di critica da parte del lavoratore nei confronti del datore di lavoro, sia necessario che il prestatore (anche nel caso in cui il suo comportamento si traduca in una denuncia in sede penale, la cui legittimazione si fonda sugli articoli 24, primo comma e 21, primo comma, della Costituzione) si sia limitato a difendere la propria posizione soggettiva, senza travalicare, con dolo o colpa grave, la soglia del rispetto della verità oggettiva con modalità e termini tali da non ledere gratuitamente il decoro del datore di lavoro o del proprio superiore gerarchico e determinare un pregiudizio per l'impresa”.