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- di Redazione
Il lavoratore ha sempre diritto di accedere ai propri dati conservati dal datore di lavoro, a prescindere dal motivo della richiesta.
Con sentenza n. 11731/2024, pubblicata il 2 maggio scorso, la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso proposto da un’azienda avverso la decisione della Corte d’appello di Firenze n. 452/2021 di conferma della sentenza di primo grado di nullità del licenziamento, in quanto discriminatorio, intimato a un dipendente affetto da neoplasia in forma grave.
Con ordinanza n. 838/2024, pubblicata in data 28 marzo scorso, la Corte di cassazione - sezione Lavoro - ha rigettato il ricorso proposto da un datore di lavoro avverso la decisione della Corte d’appello di Roma n. 4271/2022, che aveva ritenuto illegittimo il licenziamento di un dipendente “reo” di aver provveduto ad effettuare la comunicazione di cambio di domicilio nei confronti dell’Inps e non anche nei confronti del medesimo datore di lavoro.
Con ordinanza n. 7640/2024, pubblicata lo scorso 21 marzo, la Cassazione – sezione Lavoro – ha respinto il ricorso proposto da un Istituto bancario avverso la decisione della Corte d’appello di L’Aquila n. 712/2019, che aveva condannato l’Istituto ricorrente al pagamento in favore di una sua dipendente dell’importo dovuto a titolo di risarcimento del danno da dequalificazione professionale (per la durata di mesi 6), nonché a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, per la somma complessiva di euro 19.874,00, oltre interessi legali.
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