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- di Maurizio Sgroi
L’economia sta mutando pelle a una velocità tale che diventa sempre più difficile capire come. Il vecchio mondo, che ancora esiste, assiste con un certo raccapriccio all’orrido che si manifesta con livelli crescenti di debito, pubblici e privati, che inaugurano complessità del tutto inedite, figlie di bisogni nuovi. Il primo, e più evidente, è: chi comprerà questi debiti per finanziarli?

Il fatto storico, e non è esagerato scomodare la storia, che finora è passato praticamente inosservato è che da tre lustri a questa parte il settore pubblico ha superato quello privato nell’emissione di bond. Questo vuol dire, in pratica, che i governi hanno assorbito molto più credito dei privati.
A volte, poche parole bastano ad esprimere verità profonde. E quando la Bis, in un approfondimento dedicato agli effetti dei dazi su commercio - contenuto nella sua relazione annuale, molto utile da leggere in giorni che si torna a parlare di dazi, scrive che “le critiche comuni al commercio globale sono spesso prive di fondamento” - dice tutto quello che c’è da sapere sul nostro tempo.
Si è detto molto e molto si è scritto delle ragioni che hanno fortemente indebolito il dollaro, dopo l’annuncio dei dazi dell’amministrazione Usa, individuando nella perdita di fiducia nei confronti della valuta statunitense il principale canale di trasmissione della crisi.
Possiamo farci un’idea abbastanza chiara di cosa rischino le famiglie americane da un crack di borsa, sfiorato dopo il disgraziatissimo annuncio del 2 aprile scorso sulle tariffe, osservando che la quota di titoli azionari sul totale degli asset detenuti non è mai stata così alta negli ultimi sessant’anni.
